La nuova città di Sant’Agata in Gallina, inizialmente stentò a nascere tanto che secondo le descrizioni dell’epoca «il paese visse sempre di vita stentata come una colonia che diremmo fallita». Dopo varie vicissitudini si decise quindi di istituire un altro comune presso Cataforio, creando così tre distinti comuni di Sant’Agata in Cataforio, Sant’Agata in Gallina e Cardeto.
Sulla collina di Suso (nome col quale viene comunemente indicata la rupe sulla quale sorgeva la città) invece avvennero i peggiori sconvolgimenti, questa volta dovuti alle vicende umane più che all’evento sismico in sé. I terreni furono destinati alle colture di olivi (tant’è che oggi possiamo osservare degli alberi piantati all’interno di resti di edifici) e le abitazioni letteralmente “smontate” per realizzare i muri a secco. Il sentiero che conduceva alla città, e che seguiva tutto il lato settentrionale della rupe, superata la porta di terra franò lungo il vallone Frischia e venne ritracciato all’interno andando a stravolgere l’assetto urbanistico della città.
Ma fu la chiesa protopapale di san Nicola a subire i maggiori danni. Infatti, nel 1841, per adattarsi alle disposizioni di legge dell’11 marzo 1817 che prevedevano la realizzazione di cimiteri esterni al perimetro dei centri abitati, in ottemperanza all’Editto di Saint Cloud, il comune di Sant’Agata in Cataforio decise di riadattare a cimitero la vetusta chiesa madre piuttosto che costruire una struttura ex novo (principalmente per motivi economici). Con i lavori effettuati dal 1841 sino al 1889 l’aspetto della chiesa venne completamente alterato.
I documenti confermano quindi che i danni maggiori sono stati non tanto causati dal terremoto del 1783, ma dai lavori successivi, che hanno modificato e stravolto irreversibilmente l’aspetto dell’intero sito. Altro fatto che fa molto riflettere è la scelta di trasformare i resti della chiesa principale (simbolo di una così grande e gloriosa città) in un cimitero, indirizzando il luogo ad un destino certo di morte e desolazione.
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