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Per chi soffre di anoressia il cibo è solo la punta dell’iceberg di un malessere profondo. Lo sa bene Irene, 16 anni, che in un’intervista al Sir, in occasione della Settimana del fiocchetto lilla dedicata ai disturbi del comportamento alimentare (10-15 marzo), racconta la sua storia. Dopo una fase di buio seguita all’abbandono del suo ragazzo, grazie ad un percorso multidisciplinare e integrato presso l’Ospedale Bambino Gesù di Roma e al sostegno dei suoi genitori, anziché abbandonarsi al nulla ha ritrovato la luce e prosegue fiduciosa il suo percorso di guarigione.
“Il mio problema – esordisce – è iniziato quando sono stata lasciata da un ragazzo, un anno e un mese fa, e ho cominciato a sfogare il mio senso di vuoto rifiutando il cibo”. Inizia senza troppa convinzione un percorso terapeutico, sicura di “avere tutto sotto controllo”. Le cose però non vanno così: da gennaio il suo peso scende da 55 a 39 chilogrammi e tra fine settembre e inizio ottobre la situazione precipita. Irene ha una forte crisi: “Non riuscivo più a inghiottire nulla”, e viene ricoverata al Bambino Gesù dove le dicono che il suo cuore sta iniziando a rallentare. Segue un ricovero di tre settimane durante il quale le devono mettere anche un sondino.
“Se dovessi dare un titolo a questo tremendo periodo lo chiamerei ‘il sequestro’, perché era come se questa subdola malattia avesse sequestrato nostra figlia – ci dice Ruena, la mamma -: non era più lei, il suo corpo era lì, ma era un involucro svuotato”. “Non mi rendevo conto di niente – dice a sua volta Irene -, era come se vivessi in una bolla”. Quello che ha consentito ai genitori di non crollare è stato il fatto che Irene non ha mai interrotto il dialogo con loro. “Durante il ricovero – racconta – facevo moltissima fatica a prendere peso e a gennaio mi hanno detto che mi avrebbero portato in comunità. A quel punto mi sono scossa e mi sono detta: la devo smettere, fuori ci sono persone che mi stanno aspettando. Non sono sola. Ho la testimonianza di ragazze che sono guarite. Ce la posso fare anch’io”.
Lo scorso 23 ottobre, dopo la dimissione, Irene entra nel programma di alta assistenza, un day hospital che prevede un pasto assistito, un monitoraggio psichiatrico e nutrizionale, psicoterapia di gruppo per genitori e pazienti e incontro di psicoterapia familiare; appuntamento all’inizio quotidiano ma che diventa meno frequente con il miglioramento clinico. Oggi Irene ci va una sola volta a settimana “Sto decisamente meglio, mi sento anche molto cambiata, ho trovato la luce che mi aiuta a uscire dal tunnel”. E ci confida il suo sogno: “Da grande vorrei diventare infermiera. Ho visto quanto un infermiere possa essere vicino al paziente, quanto la presenza di queste figure sia stata importante nel mio percorso di risalita”.
Fonte: Agensir