Avvenire di Calabria

Indagine condotta dalle Procure di Reggio Calabria e Catanzaro

Appalti pubblici, Finanza scopre la «cumbertazione»

Federico Minniti

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La «cumbertazione». È il codice della 'ndrangheta sugli appalti pubblici.
A svelerlo una maxi-operazione della Guardia di Finanza, col supporto del Gico (Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata) e dei nuclei di Polizia Tributaria di Reggio Calabria e Cosenza, coordinata da due procure, quella reggina e quella di Catanzaro, che ha fatto luce sulla longa manus dei potentissimi clan di 'ndrangheta dei Piromalli di Gioia Tauro e dei Muto di Cetraro su centinaia di milioni di euro dei contribuenti.
Associazione per delinquere di stampo mafioso, turbata libertà degli incanti, frode nelle pubbliche forniture, corruzione e falso ideologico in atti pubblici: queste sono le accuse mosse dalle due Procure. Oltre ai Piromalli e ai Muto, per le Fiamme Gialle c'erano anche le famiglie cosentine dei Lanzino – Ruà – Patitucci dietro alla spartizione degli affari. «Cartelli di imprese presentavano offerte in bianco, poi "riempite" da chi di dovere» , spiega Federico Cafiero De Raho, procuratore capo di Reggio Calabria. Scrivi Bagalà, nel reggino, e leggi – in realtà – Piromalli.
«Un sistema per cui tutti sono contenti», si legge in un'intercettazione di Rocco Bagalà, imprenditore a capo dell'organizzazione e finito in manette al pari di altri trentaquattro indagati. Cinquantaquattro, invece, sono state le aziende sequestrate. Un impero milionario costruito con l'infedele collaborazione della Pubblica Amministrazione. Non si tratta di corruzione, ma di un vero e proprio gioco di squadra, ritengono gli inquirenti. «Era tutta una combine, come nel calcio», sottolinea il capo della Dda di Catanzaro, Nicola Gratteri.
Di fatti le gare ad evidenzia pubblica era "precettate" ai soli imprenditori-satelliti delle cosche.
Il resto lo facevano i dipendenti degli enti: «Al servizio dell'organizzazione tutta e soprattutto del suo gotha, - dice Gaetano Paci, procuratore aggiunto di Reggio Calabria - ci sono funzionari corrotti, come Angela Nicoletta, definita testa di legno dei Piromalli all'interno del Comune di Gioia Tauro e professionisti come suo fratello Pasquale e Giorgio Morabito, soggetto originario di San Giorgio Morgeto, già attivo nel settore degli appalti di lavori». Una prassi consolidata che ha consegnato, di recente, ai Bagalà-Piromalli lo sviluppo del waterfront di Gioia Tauro e lo svincolo dell'ex A3 (oggi A2) di Rosarno. Il business non è solo nel calcestruzzo, ma nel prestigio sociale delle consorterie mafiose, grazie alle assunzioni imposte delle maestranze vicine alle famiglie di 'ndrangheta dei vari territori, nonché la "tassa ambientale" del 3% sull'appalto, da riconoscere ai clan che non ostacolavano la cordata criminale-imprenditoriale.
I Bagalà così come i Barbieri e i Cittadini, aziende d'alto borgo, dominus incontrastati dei lavori pubblici nel cosentino. In particolare, dietro Giorgio Ottaviano Barbieri c'era il clan Muto di Cetraro, potenza indiscussa della criminalità organizzata bruzia.
Poche settimane fa, a Cosenza, è stata inaugurata piazza "Carlo Bilotti", agorà centrale della città, che ha tenuto a battesimo un capodanno con ottantamila giovani. Nei sotterranei di quella piazza c'erano, però, gli affari dei boss-manager. Ancora Barbieri, ancora Muto. Il parcheggio era stato costruito grazie alla «cumbertazione», al pari degli appalti milionari dell'aviosuperficie di Scalea e dell'impianto di risalita di Lorica in Sila. Un metodo che per cinque lustri ha condizionato l'aggiudicazione delle opere pubbliche che sono diventati una "bacinella" in cui drenare gli interessi economici della 'ndrangheta. «Anche laddove il cartello non fosse riuscito vincitore, infatti, venivano messe in atto manovre (sotto forma del subappalto o della procedura di noleggio) al fine di controllare in maniera diretta la gara», si legge nell'ordinanza, «un perfetto meccanismo teso ad escludere ogni altra impresa fuori dagli ‘accordi’ falsando così ogni regola di mercato», commentano i magistrati che hanno curato l'indagine durata oltre tre anni.

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