Avvenire di Calabria

Il capo dell’antimafia reggina analizza i successi investigativi seppure si lavori con gravi «deficit» di organico. Adesso, però, tocca alla cittadinanza «Inutili gli arresti senza una vera reazione della gente»

Bombardieri: «Società civile non può voltarsi dall’altra parte»

Davide Imeneo e Federico Minniti

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’Ndrangheta, gli arresti non bastano. Ha pochi dubbi il procuratore capo di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri.

Lotta alle mafie, lo Stato sta facendo abbastanza?
C’è un impegno che nasce dalla consapevolezza della pericolosità delle mafie per il nostro Paese. Nel tempo, è emersa la necessità di adeguare le strutture – dalla magistratura alle forze dell’ordine – per poter contrastare la criminalità organizzata in modo consono. Oggi la ‘ndrangheta è la mafia più pericolosa a livello europeo con un’infiltrazione ad ogni livello: ecco, in tal senso, ci vuole un sforzo ancor più vigoroso da parte dello Stato.

Parliamo di uomini e mezzi. Ritiene congruo il numero di investigatori in Calabria?
L’organico della Polizia giudiziaria è sicuramente insufficiente in virtù della vastissima necessità di indagine che ci richiede il territorio reggino e calabrese. Questo vale sia per la Squadra Mobile così come per i Nuclei investigativi dei Carabinieri o dei Nuclei di Polizia Tributaria della GDFche hanno un numero di uomini assolutamente inadeguato. Ma il problema della Polizia giudiziaria non è l’unica urgenza...

Cos’altro non va?
La magistratura giudicante. I tribunali di Reggio e Catanzaro sono saturi; mancano i giudici e quelli che ci sono spesso operano in continua emergenza. Non si può prescindere dal potenziamento della magistratura giudicante, in primo e secondo grado: va ampliata la pianta organica. E per farlo bisogna conoscere il territorio.

Anche se la ‘ndrangheta ormai non è soltanto un problema calabrese.
Le ultime indagini hanno confermato la presenza della ‘ndrangheta in diversi continenti, non solo in Europa. Non si tratta più di semplici investimenti: la ‘ndrangheta ha delocalizzato le proprie attività altrove. E forse, al Nord Italia e all’estero, in passato, hanno sottovalutato le intelligenze criminali al servizio della ‘ndrangheta. Basti pensare che i clan erano pronti a pagare la droga coi bit–coin. Un fatto che ha colto impreparati persino i narcos sudamericani.

Quindi ha ragione chi insiste col dire che non si può più rinviare una riforma sostanziale della Giustizia.
Partiamo col dire che la normativa di base assicura gli strumenti per contrastare debitamente la ‘ndrangheta. Se ci riferiamo alla discussione in corso sulla prescrizione, reputo che si tratta di un istituto su cui occorreva intervenire. Saranno accellerati i processi? Soltanto se si introdurranno altre misure mirate per rendere più snella la celebrazione degli stessi. Però, non pensiamo che basti soltanto questo per sdradicare la malapianta delle mafie...

Cosa intende?
La lotta alla criminalità organizzata coinvolge tutti. I cittadini non possono delegare il contrasto soltanto alla magistratura o alle forze di Polizia. La società civile non si può più «girare dall’altra parte». Serve impegnarsi direttamente, rifuggendo l’atteggiamento di rassegnazione e accomodamento. La ‘ndranghetà è un «problema» di ciascuno: non è solo legato allo sviluppo economico, ma anche al pregiudizio delle libertà fondamentali di ciascuno. Tanto deve e può cambiare.

Per ottenere questo “risultato” crede nell’idea della «squadra– Stato»?
Sono contrario a questa definizione. La Procura non può far parte di nessuna squadra; il mio Ufficio, per sua natura, persegue fatti illeciti. Possiamo avere “compagni di viaggio” con chi concorre per la crescita legale del territorio, ma non possiamo sentirci «legati» a vincoli di appartenenza a presunte squadre.

Vi sentiti arbitri?
Noi interveniamo quando si manifesta una patologia, non ha abbiamo una funzione di prevenzione. Sono altri gli Enti che devono lavorare sugli anticorpi.

Quale pericolo avverte in questo momento?
Ho il timore che non si faccia un «salto di qualità» che, però, è alla portata di tutti. Politicamente si devono investire più risorse sul territorio. La società civile si sta svegliando: è lo Stato che deve coinvolgere maggiormente la gente. Ciascuno secondo le proprie competenze: per la giustizia, ad esempio, occorre maggiore tempismo nelle risposte ai cittadini. Il rischio è sprecare questa grande occasione: così gli spazi lasciati «vuoti» possano essere ri–occupati da nuove leve della criminalità organizzata. Oggi, a Reggio Calabria, gli equilibri sono cambiati: i clan devono, nuovamente, tornare a intimidire perché hanno la necessità di riaffermare alla gente comune la propria asfissiante presenza; la gente comune deve decidere di non riconoscere più questo strapotere.

Eppure la ‘ndrangheta sta mutando Dna, e non da ora. Parliamo di massomafia.
Le prime cointeressenze tra gruppi di potere e ‘ndrangheta risalgono a diversi decenni fa. Questo ha reso più difficile il contrasto ai clan: la magistratura, però, ha dimostrato di non fermarsi davanti a nessuno. A sostenere quest’azione c’è la gente che è stanca di subire continuamente queste angherie.

Forse è stanca anche di leggere nomi di impresentabili tra i candidati alle elezioni.
La politica non deve valutare i fatti come la magistratura. Vanno osservati atteggiamenti e condotte che non sempre devono coincidere con condanne penali. Altrimenti, è chiaro che la politica decide di perdere una partita che la riguarda in prima persona.

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