“La scelta di girare in bianco e nero la devo a mio fratello Antonio. Questo è il mio 55° film, tra cinema e televisione, ed è la prima volta che sperimento una soluzione simile”. Sono le parole di Pupi Avati presentando alla stampa romana il suo ultimo film, “L’orto americano”, scelto come film di chiusura all’81a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia (2024). Interpretato da Filippo Scotti con Roberto De Francesco, Armando De Ceccon, Chiara Caselli, Rita Tushingham, Massimo Bonetti, Morena Gentile, Mildred Gustafsson e Romano Reggiani, il film è prodotto da Duea Film, Minerva Pictures e Rai Cinema, nelle sale dal 6 marzo.
“Sin dalle prime riprese a Cinecittà – ha commentato il regista – mi sono reso conto che stavamo facendo Cinema: nel film ci sono richiami [per stile] a Hitchcock e Ford, ma anche al neorealismo italiano. Nel complesso abbiamo realizzato il film con un budget ragionevole, pur girando tra Cinecittà, l’Italia e gli Stati Uniti. Sto promuovendo al Centro Sperimentale di Cinematografia una docenza ‘a basso costo’ dove insegnare ai futuri registi e produttori a realizzare opere di qualità contenendo i costi”.
Entrando poi nelle pieghe stilistiche del film, ha raccontato: “Si tratta di un film di genere. Un horror gotico. È un ritorno a un filone che non ho mai tradito del tutto nel corso della mia carriera. Va detto che il cinema di genere ha reso forte, riconoscibile, il cinema italiano”.
E ancora, sulla sua recente proposta di un ministero del cinema, Avati ha dichiarato: “La proposta c’è, ed è bipartisan. Non propriamente un ministero del cinema, perché sarebbe troppo complicato, bensì un’agenzia sul modello della Francia. La crisi che si respira non riguarda solo la chiusura delle sale cinematografiche, ma anche le difficoltà affrontate dai produttori. Il problema è che il Ministero della Cultura si occupa di troppi settori al tempo stesso”.
Il protagonista Filippo Scotti ha commentato: “Sono entrato in corsa nel progetto, scoprendo la sceneggiatura a dieci giorni dall’inizio delle riprese. Inizialmente ero esitante, poi mi sono abbandonato. Ho capito che dovevo fare questo film. Ed è stata un’esperienza piena d’amore. Pupi Avati mi ha fatto sentire amato. Un amore presente e vivo per tutto il tempo delle riprese, per me e i colleghi del set. Mi ha regalato un modo di lavorare in tranquillità e con una libertà assoluta”. Avati ha chiosato: “Filippo è l’attore che tutti i registi si augurano di avere. L’ho apprezzato tanto in ‘È stata la mano di Dio’ di Sorrentino”.
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