
Settimana Santa e Pasqua: su Tv2000 celebrazioni, film e documentari
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“In Veneto i ragazzi attualmente seguiti dagli Uffici di servizio sociale per i minorenni sono 699. Nei primi due mesi del 2025 sono già 86 gli adolescenti entrati per la prima volta nel circuito della giustizia minorile. Alcuni di questi giovani sono ristretti nell’Istituto penale per i minorenni (Ipm) di Treviso, destinato nel 2026 a chiudere le porte a favore della prossima apertura del nuovo Ipm di Rovigo”. Lo ha ricordato, ieri sera, Lorenzo Cattelan, dirigente del Ministero della Giustizia, intervenendo alla serata di confronto “E se fosse un’opportunità?” promossa dalla diocesi di Adria-Rovigo.
“La detenzione in Ipm – ha evidenziato – è una sanzione che accende i riflettori sul fattore ‘tempo’. E il tempo va riempito. Il tempo vuoto non è pena. La pena si deve tradurre in tempo del cambiamento. Di qui la necessità di concretizzare la dimensione pedagogica della pena attraverso la predisposizione di Piani educativi individualizzati basati su processi istruttivi, formativi e di inserimento lavorativo. Nella stessa prospettiva, assumono rilevanza percorsi di giustizia riparativa e mediazione penale orientati all’assunzione di responsabilità nei confronti della vittima e della collettività, attraverso concrete azioni di riparazione e riconciliazione. Muta, così, il concetto di responsabilità perché non ha più rilevanza l’essere responsabili di un fatto commesso, bensì l’essere responsabili verso qualcuno. Il reato non è più soltanto un’offesa contro lo Stato bensì un atto lesivo per le persone e la collettività. È il riconoscimento del dolore inflitto all’altro e il risarcimento morale e materiale della vittima l’unica possibilità per crescere e trasformare il male fatto all’altro in bene”.
Per Cattelan, “gli ospiti degli Ipm sono ragazzi a cui, spesso, è mancata una educazione primaria; sono ragazzi a cui è stato negato il diritto di essere bambini. Il carcere, e quello minorile ancor di più, è il prodotto diretto della società. È il prodotto di una cultura e di un modo di vivere le relazioni tra le persone. È importante valutare il senso soggettivo che ha per l’adolescente il gesto deviante, in relazione alle sue caratteristiche di personalità e alle sue esigenze evolutive, e della sua reazione all’intervento della giustizia e ai provvedimenti ai quali è sottoposto”.
Secondo il dirigente, “il comportamento deviante dei minori va inteso come modalità comunicativa. Un comportamento denso di significati e contenuti, strettamente legato alle difficoltà adolescenziali e alle modalità con cui viene elaborato, durante questa fase, il rapporto col contesto socio-ambientale circostante”. D’altro canto, “la risposta punitiva e la stigmatizzazione che ne deriva, soprattutto se mediatica, determinano il rafforzamento del senso di appartenenza del gruppo; in questo modo accresce il grado di coinvolgimento dei minori in attività criminali e la loro progressione verso fenomeni delittuosi più seri. Si amplia l’atteggiamento ‘noi’ contro di ‘loro’, di modo che anche giovani solo marginalmente coinvolti nel fenomeno ne vengano attratti in maniera più stabile e più seria”. Di qui la necessità di “contribuire ad affrontare il disagio giovanile attraverso semplici gesti: guardare le persone, essere presenti e offrire ad ognuno una possibilità di riscatto”.
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