
Giubileo 2025: Acerenza, sabato a Tolve la celebrazione per operatori e volontari delle Caritas parrocchiali
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“Chiediamo a Maria per tutti noi di continuare a crescere nell’arte della cura. Un’arte che va appresa soprattutto dalle donne, da quelle donne che con la loro tenera forza sorreggono il mondo. Da quelle donne che attraverso l’etica della cura tengono in piedi intere comunità, famiglie, relazioni, contrapponendosi alla logica – spesso maschile – di un potere possessivo e cieco, più attento ai numeri che ai volti, più attento alle statistiche che alle storie. Sì, Nostra Signora dell’Orto accompagnaci – con i tuoi esempi, con i tuoi insegnamenti, con la tua vicinanza – nell’arte della cura”. Si è concluso con questa invocazione il saluto pronunciato ieri sera del vescovo di Chiavari, mons. Giampio Devasini, al termine della processione della Madonna dell’Orto, patrona della diocesi, presieduta nella cittadina ligure da mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi.
“Siamo tutti debitori a Maria del suo ‘sì’!”, ha affermato il presule, precisando che “questo debito non lo si ripaga attraverso un culto di facciata, una devozione superficiale, un tenerla nelle nicchie proclamandola ‘irraggiungibile’ per allontanarla da noi, quasi non fosse una creatura e noi non fossimo capaci di seguire le sue orme, di percorrere i sentieri che lei ha percorso. No, il debito d’amore con Maria lo si ripaga in un solo modo: imparando a dire ‘sì’. Ogni giorno. Con fiducia e senza riserve”. “È al ‘sì’ di Maria, cari fratelli e sorelle, che dobbiamo guardare oggi con tutto noi stessi”, ha spiegato: “Ed è quel ‘sì’ che oggi siamo chiamati a pronunciare, fidandoci della chiamata di Dio, della sua affidabilità. Sapendo che ogni ‘sì’ a Dio è un ‘sì’ all’umanità, alla causa dell’umanità, soprattutto dell’umanità ferita e bisognosa di cura”. Mons. Devasivi si è poi soffermato sulla “cura”, “una parola sempre meno di moda”, ha osservato: “Forse perché si tratta di un’arte che richiede attenzione, costanza, dedizione. Tutte cose che domandano fatica e vigilanza. Tutte cose a cui siamo poco abituati in quest’epoca del ‘mordi e fuggi’, della ‘visualizzazione rapida’, delle emozioni superficiali”. “Eppure – ha ammonito il vescovo – la cura è una delle prime cose che Maria ci insegna: il suo ‘sì’ non è improvvisato ma è segno della cura che ha avuto del proprio cuore, della propria anima. Cura di sé che è poi diventata cura del Frutto del suo grembo, e cura di coloro che per la grazia di quel Frutto sono stati salvati”.
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