Avvenire di Calabria

Diocesi: Treviso, scambio di lettere tra detenuti e vescovo

di Redazione Web

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram


Non perdere i nostri aggiornamenti, segui il nostro canale Telegram: VAI AL CANALE


Uno scambio di lettere, tra la piccola, sconosciuta porzione di Chiesa formata da un gruppo di battezzati che vivono detenuti nella Casa circondariale di Santa Bona, a Treviso, e la Chiesa diocesana. Nell’anno del Giubileo della speranza è avvenuto anche questo, un piccolo segno di speranza che viaggia attraverso le sbarre, segno di un incontro fra il “dentro” e il “fuori”.
La lettera aperta che i detenuti hanno scritto alla diocesi è stata inviata in occasione della solennità di Pentecoste, mentre la risposta del vescovo Michele Tomasi, a nome della diocesi tutta, è arrivata nei giorni scorsi.
In questo Giubileo, il cappellano del carcere, gli altri membri della cappellanìa e i volontari di Comunione e liberazione e dell’associazione Prima pietra hanno proposto, ai detenuti disponibili al confronto, un’occasione di riflessione comune su cosa possa significare vivere un Giubileo dentro un carcere, e come ciascuno, a partire dalla propria condizione, possa mettersi in cammino verso una conversione possibile.
Nella lettera scritta dalla “Chiesa che vive in carcere” alla Chiesa diocesana tutta, i detenuti parlano della loro esperienza, senza negare le proprie colpe e “la sofferenza che anche noi abbiamo provocato”, ma, anzi, guardando al tempo speciale del Giubileo per crescere in una maggiore consapevolezza e responsabilità. “Sappiamo che mettersi in gioco è un rischio – concludono i detenuti nella loro lettera -, ma con umiltà vi diciamo che abbiamo bisogno di essere visti e accolti. Così da essere sostenuti anche noi nel poter accogliere noi stessi e il nostro vissuto e affidarlo al Signore, insieme. Vi sentiamo sorelle e fratelli, tutti”.
“Ci chiedete di riconoscere la vostra presenza nel cuore delle nostre comunità. Con il vostro appello volete aiutarci a non essere indifferenti, ad assumerci il rischio di vedervi e di ascoltarvi – scrive il vescovo -. Non negate responsabilità e colpe, ci date una testimonianza di percorsi impegnativi e lunghi di presa di coscienza del male commesso, e di assunzione di responsabilità. Si tratta, fin dove possibile, di rimediare al male commesso, di percorrere vie esigenti di riconciliazione, di coinvolgere la comunità intera per ritessere reti di relazioni che possano permettere nuova fiducia. Ci chiedete di dare spazio concreto alla fragilità della condizione umana, di prendervi sul serio come persone, partendo dal vostro impegno a prendere sul serio le persone colpite e ferite da comportamenti sbagliati, da scelte colpevoli”.

Fonte: Agensir

Articoli Correlati

Tags: