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Interventi farmacologici (terapia ormonale) o chirurgici prima della pubertà non sono la prima risposta di fronte ad un sospetto di disforia di genere. “Non si può decidere in generale; bisogna valutare caso per caso. Esistono situazioni in cui il non identificarsi nel proprio sesso biologico provoca grande sofferenza, ma ci sono anche casi in cui questa incongruenza può essere la spia di un disturbo più generalizzato che ha radici di natura diversa”, spiega in un webinar Stefano Vicari, professore di neuropsichiatria infantile alla Facoltà di medicina dell’Università Cattolica di Roma e primario Uoc di neuropsichiatria infantile dell’Irccs Ospedale pediatrico Bambino Gesù. “Occorre anzitutto aiutare il ragazzo/a a capire meglio i propri sentimenti e le proprie emozioni senza né escludere, né accelerare il percorso di transizione – sostiene l’esperto -. Bisogna procedere gradualmente, senza cambiamenti traumatici e/o definitivi, accompagnando e supportando il ragazzo/a per aiutarlo/a a maturare la piena consapevolezza di chi si vuole essere. Esistono a Torino, Milano, Roma, Napoli centri specializzati, altamente qualificati e profondamene credibili del punto di vista clinico e scientifico che possono accompagnare in questo percorso con la delicatezza e la competenza necessarie. I genitori non devono sentirsi soli”. In ogni caso, anche se la disforia di genere può esordire molto precocemente, non può essere considerata un qualcosa di strutturato e il suo epilogo non è sempre scontato. “Nell’età infantile – assicura Maria Pontillo, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale e dirigente psicologo Uoc neuropsichiatria infantile presso il Bambino Gesù – una percentuale tra il 12 e il 30% dei casi va in remissione con l’ingresso nell’adolescenza. Per questo è importante concedere ai nostri ragazzi un prudente tempo d’attesa nel percorso evolutivo dall’infanzia all’adolescenza”.
Fonte: Agensir