
Settimana Santa e Pasqua: su Tv2000 celebrazioni, film e documentari
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La follia come spazio di libertà è il tema del prossimo numero di Donne Chiesa Mondo, il mensile femminile de L’Osservatore Romano curato da Rita Pinci, che esce oggi. “Folli e benedette” il titolo di copertina, illustrata con l’opera “Luna” dell’artista Lucia Lo Russo.
“Quando una donna parla troppo forte, osa dire verità scomode, sfida l’ordine costituito, viene spesso etichettata come ‘folle’”, si legge nell’editoriale. Pazze erano le prime donne che rompevano l’omertà mafiosa. Locas le madri argentine di Plaza de Mayo che chiedevano di riavere i loro figli desaparecidos, almeno i loro corpi, come scrive nell’inchiesta di apertura la giornalista Lucia Capuzzi. Ai limiti della ragione era visto il comportamento delle mistiche che nelle estasi e nelle visioni trovavano un canale per esprimere una spiritualità profonda e spesso rivoluzionaria. Quattro di loro – Ildegarda di Bingen, Caterina da Siena, Teresa d’Avila, Teresa di Lisieux – oggi sono insignite del titolo di dottore della Chiesa, solo loro quattro su 37 dottori. Possedute, streghe, venivano poi considerate le eretiche. E fuori di testa pure le jurodivaja, le stolte in Cristo della tradizione russa che vivevano ai margini della società, come racconta Eleonora Mancini. Una dinamica, secondo la biblista Marinella Perroni, che emerge alle radici stesse del cristianesimo. Nel mese in cui cade la Pasqua, la teologa ricorda che furono le donne le prime testimoni della resurrezione di Cristo. Maria Maddalena e le altre che si recarono al sepolcro, trovandolo vuoto portarono la notizia straordinaria agli apostoli, che inizialmente – si legge nel Vangelo di Luca – “non credettero a queste parole, e le considerarono come un vaneggiamento”.
Certo, il prezzo da pagare è stato spesso altissimo. Molte donne “folli” sono state perseguitate, imprigionate, torturate, mandate al rogo. Altre sono state rinchiuse in istituti psichiatrici, sottoposte a “cure” brutali, private della loro dignità e della loro voce. La società ha cercato in ogni modo di ripararsi da queste coscienze inquiete.
Ma c’è chi ha trasformato lo stigma in arte: come Yayoi Kusama e Carol Rama, di cui parla Giorgia Calò, storica e critica d’arte, direttore del Centro di Cultura Ebraica della Comunità Ebraica di Roma. Come Alda Merini, la poetessa che conobbe alcuni periodi bui dovuti ad un disturbo psichiatrico, il cui ricordo è affidato al suo amico teologo Marco Campedelli, autore de Il Vangelo secondo Alda Merini.
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