Avvenire di Calabria

Il confronto ha reso le Chiese più vicine: oggi il vero male è la perdita del sacro che svuota il mondo

Ecumenismo antidoto contro la scristianizzazione

Un invito al dialogo e alla conversione nel segno del Vangelo

di Daniele Castrizio *

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L’enciclica Ut unum sint, pubblicata nel 1995 da san Giovanni Paolo II, rimane ancora oggi un punto di riferimento imprescindibile per il cammino ecumenico tra le Chiese cristiane. Da sacerdote ortodosso del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, guardo con rispetto e riconoscenza ai passi compiuti dai fratelli della Chiesa romanocattolica, che con coraggio e umiltà hanno intrapreso un dialogo sincero, riconoscendo le ferite del passato e cercando vie di riconciliazione nel nome del Signore.



Lo spirito dell’enciclica conserva una forza profetica: essa non propone scorciatoie dottrinali né compromessi identitari, ma chiama tutti i cristiani a un impegno di conversione, di ascolto reciproco, di verità e carità.

Tuttavia, dobbiamo riconoscere con onestà che le differenze sviluppatesi nel corso di mille anni di separazione tra le due Chiese sorelle rendono estremamente arduo il cammino verso la piena comunione. Questioni ecclesiologiche, liturgiche, spirituali e giuridiche si sono stratificate, divenendo non soltanto differenze storiche, ma spesso identitarie.


PER APPROFONDIRE: Ecumenismo, verso l’unità piena. 30 anni di comune cammino


La Santa Grande Chiesa di Cristo, che è il vero nome della Chiesa Ortodossa, con tutte le sue umane difficoltà, non può e non potrà mai rinunciare a ciò che la caratterizza in profondità: la custodia genuina dell’eredità della Chiesa dei Padri. Essa non può aprirsi a un modernismo che snatura la Tradizione, né cedere alla tecnocrazia che svuota la fede del suo nucleo esistenziale. L’Ortodossia è profondamente radicata nell’esperienza ascetica, monastica e spirituale, che ha generato i santi, i martiri e i teologi che continuano ad alimentare la vita del popolo di Dio.

Ciononostante, il cammino ecumenico ha prodotto frutti. Ha avvicinato pastori e fedeli, generando un clima di conoscenza, rispetto e amicizia. Nessuno oggi, tra coloro che camminano alla luce del Vangelo, può più giustificare la violenza in nome di Dio. L’idea stessa di crociate, scomuniche reciproche e persecuzioni confessionali appare come un tradimento del Dio dell’amore universale.

L’ecumenismo ha anche favorito una reciproca conoscenza teologica e dogmatica, che ha arricchito le Chiese e permesso un dialogo più profondo, libero da pregiudizi. Ma oggi, il grande nemico non è la divisione interna: è la scristianizzazione della società occidentale, che conduce a una progressiva disumanizzazione, all’individualismo radicale, alla perdita del senso del sacro e, in ultimo, alla guerra. La voce delle Chiese, pur nella diversità delle tradizioni, deve unirsi alla luce del Vangelo per condannare tutte le guerre e per creare le condizioni di una pace duratura. Una pace che non è solo assenza di conflitto, ma affermazione dell’amore, della giustizia e della dignità di ogni uomo.



Anche la Chiesa ortodossa è chiamata a un esame di coscienza. L’attaccamento nazionalistico, sempre più diffuso, sta generando divisioni e contrapposizioni impensabili alla luce della dottrina e dei canoni. Non possiamo accettare che l’etnia venga anteposta alla comunione in Cristo. Prima di essere greci, russi, romeni, italiani, georgiani o ucraini, siamo cristiani, uniti dal vincolo dell’amore fraterno e dalla comune chiamata alla santità. Nella Grande Chiesa di Cristo non c’è posto per chi odia la pace e predica la guerra. È tempo di testimoniare, insieme, che Dio è amore, e che ogni fratello è tempio vivo dello Spirito. Se vogliamo davvero che Ut unum sint non resti una parola vana, ma profezia viva, dobbiamo riconoscere in ogni cristiano non un avversario, ma un fratello amato dallo stesso Padre.

* protopresbitero ortodosso parroco della chiesa di San Paolo dei Greci

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