Avvenire di Calabria

La prima trattoria inaugurata quasi per gioco il primo aprile di 22 anni fa: dal "pesce d'aprile" ad una carriera ventennale

Fare impresa sui fornelli, Pietro Cartellà: quando passione diventa lavoro

Il viaggio di un giovane chef che ha trasformato la passione per la cucina in una carriera ventennale, valorizzando il territorio

di Mariarita Sciarrone

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Pietro Cartellà ha iniziato il suo percorso a meno di 24 anni, aprendo il suo primo ristorante quasi per gioco. «Abbiamo inaugurato la nostra prima trattoria il primo aprile del 2003» racconta sorridendo, ricordando quello che sembrava un pesce d’aprile, ma che si è trasformato in una carriera ventennale.



Da quel giorno, Pietro non ha più smesso di cucinare, sperimentare e progettare piatti, perché nel suo caso la cucina è davvero una questione di progettazione. Studente di architettura, storia e conservazione, ha deciso di seguire la sua vera passione per la cucina, che lo ha portato a un percorso di studio, gavetta e riconoscimenti, sempre con lo sguardo rivolto alla tradizione. Lo abbiamo incontrato per scoprire il suo legame profondo con il territorio e la cucina che racconta molto della Calabria.

Qual è il ruolo della tradizione e della cultura calabrese nelle sue ricette?

Sono sempre stato appassionato della storia e della cultura del mio territorio, a cui sono profondamente legato. Le mie ricette si ispirano proprio a questo legame con la terra e le tradizioni locali. Sono ricette tramandate dagli anziani, dai nonni, che osservavo con ammirazione mentre cucinavano. Fin da bambino, ho cercato di recuperare e reinterpretare le ricette storiche della Calabria, che poi sono spesso anche le ricette tipiche del Sud Italia.

Come nasce “Timo”?

“Timo” nasce da un percorso di crescita e di esperienza maturato nel corso degli anni. Il mio primo ristorante, “Il Focolare” ha avuto un grande successo, restando attivo per quasi 12 anni e ricevendo riconoscimenti, come l’inserimento nella guida “Osteria d’Italia” di Slow Food. Dopo la chiusura, ho continuato con mia sorella fondando la scuola di cucina “Yo Chef”, che ha ottenuto ottimi risultati. Ho lavorato in diverse località, fino ad arrivare all’apertura di “Timo”.


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Questo nome deriva dalla spezia omonima, un arbusto che cresce nell’Aspromonte e in tutta l’area mediterranea. Il timo è un aroma essenziale della nostra cucina, specialmente nei piatti a base di carne. Tuttavia, c’è un significato che va oltre la spezia. “Timo” deriva dal greco “Thymus”, che significa coraggio. Mi piace raccontare che, nel Medioevo, le donne donavano rametti di timo ai cavalieri da portare sugli scudi, per infondere loro coraggio in battaglia. La Calabria è la terra dei greci e il timo richiama anche il coraggio di restare in questo territorio, di investire su di essa nonostante le difficoltà.

Quali sono i valori che cerca di trasmettere attraverso la cucina?

Per me, la cucina è arte e amore. Amo ispirarmi a una bellissima frase di Virgilio: “L’arte rivela ai cuori ciò che nessuna scienza può rivelare alle menti”. La cucina, infatti, se fatta con il cuore, è capace di suscitare emozioni profonde. Attraverso i miei piatti cerco di far rivivere il territorio e di trasmettere queste emozioni ai miei ospiti. La cucina, dunque, diventa un modo per collegare il cuore delle persone alla tradizione e alla cultura.

In che modo valorizza i prodotti locali?

La mia cucina è creatività, ma sempre radicata nella tradizione. Cerco di valorizzare non solo le ricette della nostra terra, ma anche i produttori locali. Faccio un’accurata ricerca degli ingredienti, collaborando con piccole aziende dell’Aspromonte e dintorni. Uso prodotti come il caciocavallo di Ciminà, la cipolla di Tropea, oli di eccellenza e verdure fresche dai piccoli appezzamenti di terreno locali. Mi rifornisco di ingredienti tipici come la patata dell’Aspromonte, il fungo porcino e il tartufo del Vibonese e della Sila. Ogni piatto racconta la storia e la qualità del nostro territorio.

Quali sono le ricette più rappresentative del territorio che propone nel menu?

Uno dei piatti simbolo è lo spaghettone con sugo di ‘nduja di Spilinga, cipolla di Tropea, pomodorino e ricotta di pecora dell’Aspromonte. Un tempo, era un piatto povero dei pastori, che lo preparavano con ingredienti semplici. Poi c’è il pacchero con il ragù della nonna, cotto per ore con diversi tipi di carne, secondo la tradizione. Tra i piatti iconici c’è anche la pasta e patate alla calabrese con guanciale e patate mantecate col caciocavallo di Ciminà. Infine, una pasta che chiamo il regno delle due Sicilie. Una candela di Gragnano con cipolla di Tropea, fonduta di caciocavallo di Ciminà e pesto al pistacchio di Bronte, che abbraccia simbolicamente tutto il Sud, dalla Campania alla Sicilia.

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