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La giustizia ambientale ha un nuovo Indice su scala globale. Uno strumento che rende precisamente misurabile la complessa relazione tra diritti umani e sostenibilità ambientale e che è stato pensato per stimolare soprattutto le giovani generazioni a cambiare l’attuale modello di sviluppo, estrattivista e fonte di conflitti. Lo ha appena pubblicato Mani Tese con il contributo di Fondazione Cariplo e in collaborazione con Università degli Studi di Milano, Politecnico di Milano ed eNextGen, presentandolo alla Statale di Milano in una conferenza il 2 aprile insieme al primo rapporto periodico dedicato in particolare al comparto tessile.
Le persone non sono una “variabile” della sostenibilità ma ne rappresentano il fulcro, l’essenza. È questo presupposto, ha sottolineato in apertura Maristella Bergaglio, professore aggregato di Geografia della popolazione presso l’Università degli Studi di Milano, che ha dato ossigeno e gambe al nuovo Indice di Giustizia ambientale, tema sul quale Mani Tese lavora da oltre dieci anni. Lo ha ricordato Marino Langiu, direttore generale di Mani Tese Ets: “È esplorando i movimenti dei diritti umani in questi oltre 60 anni che abbiamo potuto delineare al meglio il concetto di giustizia ambientale”. Coniugando la dimensione sociale, politica, economica, culturale. Per l’indice è stato usato, come evidenziato da Langiu, “un approccio integrato, una forza motrice per stimolare il cambiamento”.
Riccardo Mereu, professore associato del Dipartimento di Energia del Politecnico di Milano, e Niccolò Golinucci, Co-founder e ceo di eNextGen, dottorato al Politecnico di Milano, hanno presentato la metodologia applicata per la realizzazione dell’Indice di Giustizia Ambientale e mostrato i risultati sulla mappa interattiva consultabile sul sito di Mani Tese. Un “disciplinare” preciso che ha permesso di ottenere una copertura globale ma con una “granularità” nazionale. Senza far tabula rasa delle ricerche precedenti ma puntando ad affinarle, includendo e dando valore ad ambiente, salute, diritti civili, relazioni internazionali. Un processo serio che ha previsto una fase di revisione e “normalizzazione” per evitare risultati dissonanti, per oltre 7.700 datapoint.
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