«Un quarto dei cetacei spiaggiati lungo le nostre coste negli ultimi anni è morto per cause imputabili all’uomo, in particolare per l’intrappolamento nelle reti, che sempre più spesso si trovano abbandonate in mare e che vanno ad acuire la contaminazione da plastica, ma anche a causa delle reti illegali, come le spadare, che nei giorni scorsi hanno intrappolato ben due capodogli al largo delle Eolie». Lo rivela una ricerca commissionata da Greenpeace all'Università di Padova e diffusa in occasione della Giornata mondiale per la conservazione della natura.
«L’84% dei capodogli spiaggiati tra il 2008 e il 2019, su cui si sono condotte delle analisi, aveva nel proprio stomaco frammenti di plastica, con il ritrovamento straordinario di ben 22 chili di plastica nella femmina spiaggiata a Olbia a inizio 2019. La causa? Sono i grandi teli usati per l’agricoltura, le buste, i filamenti derivati dalla frammentazione della plastica, che si accumulano nei loro stomaci. Anche se non uccidono i cetacei li debilitano, alterando la loro funzionalità intestinale, facendoli faticare per nutrirsi e favorendo l’emergere di altre problematiche».
Preoccupa i veterinari anche l’isolamento di un virus, quello del «morbillo dei cetacei, che dopo gravi epidemie di stenelle tra il 1990 e il 2008, sembra adesso riemergere tra diverse specie di cetacei, soprattutto associato ad altri stress ambientali. Cinque dei sei capodogli analizzati spiaggiati nell’estate 2019 sono risultati positivi al virus. A mettere in allarme è che si sta verificando per questo virus, proprio come per quello della SARS e del Covid-19, l’effetto spillover ovvero il “salto di specie”, arrivando fino a specie anche lontane come lontre di fiume e foche».