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Aumenta la spesa nel carrello di tutti mentre le aziende corrono ai ripari per potersi tutelare e il futuro resta sempre più incerto
I dazi doganali, tornati al centro dell’agenda economica con l’annuncio del piano tariffario di Donald Trump per il 2025, si stanno rivelando un fardello pesante per le famiglie. Il presidente, tornato a insistere su politiche protezionistiche con l’obiettivo dichiarato di “riportare i posti di lavoro in America” e riequilibrare la bilancia commerciale, ha promosso un’estensione dei dazi su tutte le importazioni, con picchi anche del 100%. Ma se da un lato questi provvedimenti vogliono stimolare la produzione interna, dall’altro finiscono per colpire proprio quei consumatori che si intendeva tutelare.

I primi effetti si fanno già sentire: i prezzi al consumo stanno salendo e l’economia mostra segni evidenti di rallentamento. Per molte famiglie, questo significa confrontarsi con un’inflazione che erode i redditi e con una crescente incertezza sul futuro. Secondo una recente analisi del Budget Lab della Yale University, l’intera ondata di dazi introdotta dal 2025 comporta un aumento medio dei prezzi al consumo del 2,3% nel breve termine. Questo si traduce, in pratica, in una perdita media di circa 3.800 dollari annui per ciascun nucleo familiare. Non si tratta solo di un dato statistico: è la spesa settimanale che aumenta al supermercato, il preventivo per l’auto nuova che cresce improvvisamente, la bolletta della corrente che si gonfia mese dopo mese.
Per le famiglie con redditi medio-bassi, l’impatto è ancora più accentuato: sono loro, infatti, a spendere una porzione maggiore del proprio reddito in beni soggetti a dazio, come abbigliamento, alimentari ed elettrodomestici. E in un contesto in cui i salari faticano a tenere il passo con il costo della vita, ogni incremento dei prezzi pesa due volte. Ma l’inflazione non è l’unico effetto visibile. Il rallentamento economico è l’altra faccia della medaglia. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha già rivisto al ribasso le stime di crescita per il 2025, prevedendo un rallentamento significativo per l’economia statunitense. Il Prodotto Interno Lordo potrebbe ridursi fino a un punto percentuale rispetto alle previsioni precedenti.
Questo significa meno investimenti, meno occupazione, minore fiducia nei mercati. E quando l’economia frena, le imprese tagliano i costi, rimandano le assunzioni, rivedono al ribasso gli stipendi. È un circolo vizioso che finisce per colpire, ancora una volta, le famiglie. Molti analisti parlano apertamente di rischio stagflazione: uno scenario in cui l’inflazione resta alta mentre l’economia ristagna. Una combinazione difficile da gestire, anche per le banche centrali. La Federal Reserve, ad esempio, si trova davanti a un dilemma: da un lato vorrebbe contenere l’inflazione alzando i tassi, ma dall’altro rischia di soffocare ulteriormente la crescita. Intanto, le famiglie fanno i conti con una realtà in cui i redditi reali si riducono, le opportunità lavorative si fanno più incerte e il risparmio diventa sempre più difficile. I dazi, insomma, hanno un costo molto concreto nella vita quotidiana delle persone.
Dietro le motivazioni ufficiali – spesso geopolitiche, talvolta elettorali – ci sono gli effetti tangibili su chi fa la spesa, manda i figli a scuola o cerca di mettere da parte qualcosa a fine mese. L’economia globale è interconnessa, e ogni ostacolo imposto agli scambi commerciali si ripercuote a catena su produzione, logistica e distribuzione. I prezzi salgono non solo perché aumentano le tariffe all’ingresso, ma anche perché cresce l’incertezza tra le imprese, che alzano i margini per tutelarsi. In questo scenario, le famiglie si trovano strette in una morsa: da un lato l’inflazione erode il potere d’acquisto, dall’altro il rallentamento economico rende più difficile migliorare il proprio tenore di vita.
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E mentre il dibattito politico si concentra sull’efficacia o meno dei dazi per stimolare la manifattura nazionale, la realtà è che milioni di cittadini ne stanno già pagando il prezzo. Non in teoria in relazione a complessi scenari macroeconomici, ma con il conto del supermercato che ogni mese diventa un po’ più salato.

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