Avvenire di Calabria

Il futuro della Calabria, insieme controvento per attivare energie sommerse

Serve una Calabria che trasformi il coraggio individuale in resistenza collettiva

di Angelo Palmieri*

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Le Chiese locali devono offrire un impulso decisivo: uscire da liturgie comode, farsi laboratori di partecipazione, attivare energie sommerse, coordinare alleanze territoriali

La Calabria è una terra sospesa tra luce e ombra, tra slanci e ferite, tra il desiderio di rinascere e la presa storica e asfissiante della criminalità organizzata, stratificata nel tempo. In molti territori, la ’ndrangheta spegne sul nascere ogni anelito di riscatto. Il silenzio pesa più delle parole, mentre il racket chiude botteghe, il narcotraffico inghiotte i giovani, e l’economia si piega all’intimidazione.



Accanto alla violenza visibile, c’è una povertà grigia e muta: case senza futuro, madri sole, ragazzi lasciati ai margini. È proprio qui che la mafia si traveste da welfare alternativo, offrendo legami tossici. Ma non si tratta solo di crimine: è anche mito. Lo ricorda Roland Barthes in Miti d’oggi: ogni potere si regge su narrazioni che lo fanno apparire naturale, ineluttabile. Così il potere malavitoso si legittima anche con messaggi velenosi: “non cambierà mai nulla”, “meglio non esporsi”. Diventa parte del paesaggio mentale, anestetizza le coscienze. Eppure i miti si possono decostruire. Ogni voce che rompe l’omertà è un gesto di resistenza.

A Cassano Ionio, ho toccato con mano queste ferite: famiglie strozzate dall’usura, giovani risucchiati dallo spaccio, commercianti sospesi tra la rinuncia e il compromesso. Serve una Calabria che trasformi il coraggio individuale in resistenza collettiva. Ma troppo spesso restiamo impantanati in moralismi sterili, paure strutturate e paralizzanti, “sottoculture” avvelenate da cinismo e opportunismo.

La proposta di una Calabria diversa

Proponiamo la nascita di Presìdi Civici di Comunità: spazi permanenti nei quartieri fragili, magari in beni confiscati, dove educazione, lavoro e mutualismo si incontrino. Non luoghi occasionali, ma presenze quotidiane, fisiche, competenti, capaci di abitare concretamente i territori a rischio. Centri civici che non siano astratti, ma radicati: che sappiano osservare, mappare, ascoltare, per generare alternative reali. Luoghi dove operano figure educative e sociali. Punti di prossimità che recuperino la dimensione della denuncia e la traducano in impegno concreto.

Le Chiese locali devono offrire un impulso decisivo: uscire da liturgie comode, farsi laboratori di partecipazione, attivare energie sommerse, coordinare alleanze territoriali. Occorre riaprire la partita, e non solo con discorsi pubblici o guizzi omiletici. Non abbiamo bisogno di professionisti dell’antimafia, ma del coraggio di intere parrocchie che agiscano con intelligenza evangelica, dando forma a un cambiamento possibile.

Ma attenzione: la rigenerazione non si improvvisa, si costruisce. Serve, accanto a questo, rilanciare l’educativa di strada come politica pubblica strutturale, con figure competenti capaci di abitare i margini. Presenze vive, in grado di intercettare i ragazzi prima che li prenda lo spaccio, prima che l’eroina — tornata prepotentemente — li trascini via nel silenzio.

Forse è giunto il tempo — e quel tempo è ora — di tacere i lamenti e dare fuoco alle visioni.
Non bastano più riti commemorativi, veglie senza risveglio.
Lanciamo, qui e ora, una piattaforma programmatica che veda tutte le Chiese di Calabria unite in un patto concreto di liberazione: un’alleanza che non si accontenti di parlare contro la criminalità organizzata, ma decida di agire oltre la paura.


PER APPROFONDIRE: Un ponte etico tra Reggio Calabria e Barcellona: l’IA al centro della nuova collaborazione accademica


Una Chiesa che scenda negli interstizi del dolore, si faccia voce, gesto, casa. Perché la santità, oggi, passa anche da qui: dalla capacità di organizzare speranza. Auspichiamo che, su questo, la Conferenza Episcopale Calabra continui ad essere voce profetica.

*Sociologo

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