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Nella storia, come scrive Chander alla fine del suo libro, i sogni utopici di una società migliore sono sempre stati la linfa vitale del progresso
Che aspetto dovrebbe avere una società giusta? Difficile, rispondere a questa domanda. Occorrerebbe scomodare filosofi, economisti, sociologi, esperti di dottrine politiche e religiose, per tentare una risposta. Più facile è riconoscere che le società in cui viviamo e crediamo evolute e progredite, non sono giuste. Ancora più facile, è elencare le innumerevoli questioni che le rendono ingiuste: guerre, disuguaglianze, ricchezza concentrata in poche mani e povertà, al contrario, molto diffusa, nel continente africano e nelle periferie del mondo, ma non solo, a volte le abbiamo sotto i nostri occhi e non le vediamo.
La difficoltà maggiore, dopo esserci chiesti senza risultato il come e il perché siamo arrivati a questo punto, è provare a immaginare che cosa occorre, per avere una società più giusta e migliore. Quale visione è necessaria, per raggiungere il traguardo della società giusta. Intorno a questi temi, muove la riflessione di Daniel Chander, economista e filosofo britannico, allievo del premio nobel Amartya Sen, autore di “Liberi e Uguali - manifesto per una società giusta” (Editori Laterza, traduzione di Chiara Rizzo, pagine 396, euro 25), libro molto interessante, in cui l’autore parte dalle idee di uno dei più grandi filosofi dei nostri tempi: lo statunitense John Rawls, l’inventore della “utopia realistica”, che sul finire del secolo scorso ha rivoluzionato la filosofia politica. La concezione di società giusta di Rawls (morto nel 2002) si basava sull’idea che tutti i beni sociali principali, devono essere distribuiti in modo eguale; e che distribuzione eguale, può esserci solo se avvantaggia gli svantaggiati.
Al centro della sua “teoria della giustizia” (titolo di un suo fortunatissimo libro), c’è un’idea di base, incredibilmente semplice quanto potente nel significato: una società dovrebbe essere giusta. Sogni utopici, si potrebbe dire. Ma, nella storia, come scrive Chander alla fine del suo libro, i sogni utopici di una società migliore sono sempre stati la linfa vitale del progresso. Per essere più chiaro, Chander ricorda che molto di ciò che oggi diamo per scontato: la libertà dalla schiavitù, il suffragio universale, l’esistenza dello stato sociale, un tempo non era altro che il parto dell’immaginazione di pochi riformatori sociali idealisti. Dunque, si può provare, anzi si deve provare. La questione è, semmai, come passare dal “cosa al come”.
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Come si può realizzare una società giusta, in tempi di populismo autoritario, di rimessa in discussione di confini, di mancanza di visioni e con leader, anche mondiali, determinati a smantellare le libertà fondamentali e a pregiudicare il processo democratico. Ci dovrà però pur essere un’alternativa al cinismo dei nostri tempi, riflette Chander: si tratta - è il suo avvertimento - di affrontare la sfida prima della dissoluzione, che è per tutti dietro l’angolo. Solo il mutamento di rotta, nei paesi dove esiste la «dittatura della mancanza di alternative» (l’espressione è di Roberto Mangabeira Unger, filosofo e politico brasiliano), convincerà i cittadini che una società migliore è auspicabile, ma anche possibile.
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