Avvenire di Calabria

«Monsignor Ferro, custode attento del suo popolo»

L'arcivescovo emerito di Cosenza - Bisignano, monsignor Nunnari, traccia un ritratto fedele del prete somasco che fu indimenticato pastore di Reggio Calabria dal 1950 al 1977

Davide Imeneo

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Monsignor Salvatore Nunnari, arcivescovo emerito di Cosenza – Bisignano e reggino di origine, è una delle persone che ha vissuto più da vicino il ministero di monsignor Ferro a Reggio Calabria. Da prete attento e sempre alle prese con una missione difficile come quella a lui riservata, don Nunnari ha potuto sperimentare da vicino quel sapore di santità che l’arcivescovo di Reggio Calabria ebbe modo di far sentire sin dal suo arrivo. «Aveva un colloquio mai interrotto con il Signore. È successo spesso che, dopo aver dato la soluzione a molte questioni complesse – spiega oggi l’arcivescovo già presidente della Conferenza episcopale calabra – concludesse il colloquio con una domanda: “Hai pregato abbastanza”». Accadeva, poi, che lo si ritrovasse per ore dinanzi al santissimo sacramento e si capiva che la domanda aveva una risposta nell’icona del contemplativo che si saziava di Dio, «contemplando il Suo volto e incontrando in Lui i volti e la storia dei suoi figli». 

Monsignor Nunnari, alla luce della sua personale e particolare conoscenza di monsignor Ferro, ci può aiutare a descriverlo a chi non lo ha conosciuto? Com’è possibile raccontare il vescovo somasco alle giovani generazioni?

È stato soprattutto un padre e un religioso nel senso più profondo. La sua formazione mi aveva profondamente plasmato l'animo facendolo attento alle necessità degli anziani e dei diseredati come ha dimostrato nelle opere di carità e di assistenza realizzate. Aveva un animo sensibilissimo, non aveva però cedimenti, né sentimentalismi, era conscio del suo ruolo e della sua dignità, trattava tutti con rispettoso ritegno e misurato equilibrio e paterna bontà. Un elemento del suo carattere che mi ha sempre colpito è stata l'austerità verso sé stesso, era invece attento alle necessità degli altri. Aveva un senso vivissimo dell'onestà e della giustizia fino allo scrupolo di rendere conto di ogni minima spesa e di assegnare a ciascuno ciò che reputava dovuto.

Monsignor Ferro ha vissuto il suo ministero episcopale in un periodo storico, sociale e politico molto complesso. Da cosa nascevano le sue decisioni?

Egli era ponderato e forte nelle sue scelte. La paziente attesa perché fossero eseguite, il giudizio sincero davano alla personalità del nostro Arcivescovo la dimensione più alta dell'uomo di Dio, saggio e prudente che infonde sicurezza e fiducia. Una paternità autorevole e non autoritaria. Un'autorità fedele all'etimo che vuol dire far crescere. Queste doti non comuni che facevano già di lui un uomo di chiesa, nato per promuovere e guidare, trovavano la loro radice e il loro alimento in una fede semplice e chiara, illuminata, presente e vissuta appieno. Era un vescovo attentissimo ai sacerdoti e a ogni fedele, Monsignor Ferro custodiva il suo popolo in modo infaticabile. Guardava in alto senza distogliere lo sguardo della propria gente.

Per esempio nella terribile alluvione del Valanidi del 1953, che sconvolse molte comunità e causò decine e decine di morti.

Sì. Durante quell’evento, egli è a piedi, a cavallo e con ogni mezzo nei luoghi del nubifragio. Consola, presiede con riunioni urgenti, apre le porte della sua casa della Curia e del Seminario ai senza tetto, si spoglia della Croce pettorale per offrirla per la costruzione della Casa della Solidarietà a Ravagnese. Avvia inoltre la costruzione di asili nei luoghi più disperati della diocesi.

Un piemontese, era nato a Costigliole d'Asti il 13 novembre 1901, che fa sua la cultura calabrese di vero conoscitore del territorio e della nostra realtà. Ma c’è un ricordo particolare che vorrei narrare.

Prego. 

Era il mese di luglio del 1961. A Melia di Scilla una giovane madre era stata uccisa dall'amante del marito. Entrambi erano stati arrestati. Monsignor Ferro legge sul vostro giornale la triste vicenda di cinque orfani accolti dalla vecchia nonna in un fatiscente locale, non si dà pace e a mezzogiorno è già in macchina per raggiungere i cinque orfani che lui stesso li porta in macchina in vari istituti, il più grande Mariano che aveva purtroppo assistito alla uccisione della madre lo porta in episcopio, mi aggiravo nel cortile della Curia quando vengo chiamato dal Vescovo che mi fa subito una richiesta: "A casa hai un letto in più?" Alla mia risposta affermativa mi consegna Mariano dicendomi portalo dalla tua mamma, la sua è in paradiso, farà le vacanze con te, abbi cura di lui. Così il vescovo curava i suoi futuri preti. 

Infine non ci possiamo astenere dal farle una domanda collegata ad una pagina nera della storia di Reggio. Cosa ricorda di monsignor Ferro durante i Moti?

Lo fecero soffrire tantissimo. Storia nota che vide, nell'assenza assoluta della classe politica, monsignor Ferro Vescovo e Console di Reggio e riferimento unico del popolo stremato dalla violenza delle istituzioni. Nella notte del 17 dicembre 1970 salvò col suo intervento la città da un immane disastro. I più facinorosi avevano svaligiato un'armeria e molti di loro volevano vendicare l'ultima vittima, un onesto padre di famiglia e lavoratore. Nel 1971, a Sbarre, subì anche l'umiliazione delle monetine in faccia gettate da un esasperato che insieme a centinaia di cittadini si rifiutava di accogliere l'invito di Ferro alla pacificazione e alla riconciliazione delle anime.

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