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Un’operazione di portata nazionale ha colpito duramente le strutture della ‘ndrangheta radicate in Calabria e operative in molte regioni italiane. Coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, l’inchiesta Millennium svela trame mafiose, interessi politici e traffici internazionali che confermano la potenza e la pervasività dell’organizzazione criminale.
Dalle prime ore dell’alba del 21 maggio 2025, i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, supportati da numerose unità operative e speciali, hanno eseguito arresti e perquisizioni nelle città di Reggio Calabria, Milano, Monza e Brianza, Pavia, Nuoro, Bologna, Cosenza, Catanzaro, Vibo Valentia, Roma, Rimini, Verona, Agrigento e Torino.
L’inchiesta, diretta dal procuratore Giuseppe Lombardo, ha portato all’emissione di 97 ordinanze cautelari: 81 persone sono finite in carcere, mentre per 16 sono stati disposti gli arresti domiciliari. Contemporaneamente sono state sequestrate due società attive nei settori della ristorazione e dell’edilizia, ritenute funzionali alle attività delle cosche.
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L’indagine, avviata nel 2018 e articolata in cinque procedimenti penali, ha documentato l’attività delle principali consorterie della ‘ndrangheta operanti nei tre mandamenti della provincia reggina: centro, jonico e tirrenico.
La 'ndrangheta - è stato detto nel corso della conferenza stampa ospitata presso la Scuola Allievi Carabinieri di Reggio Calabria - continua a essere un'organizzazione unitaria, strutturata e operante a livello internazionale, con articolazioni che agiscono come una vera e propria multinazionale del crimine.
Le investigazioni hanno confermato l’attuale struttura unitaria della ‘ndrangheta, con la cosiddetta “provincia” che agisce da organismo collegiale di raccordo tra i “locali” reggini e quelli attivi fuori dalla Calabria. La “provincia” regola la nascita di nuove articolazioni, assegna cariche interne e dirime i conflitti. È stato accertato il funzionamento dei “locali” di Sinopoli, Platì, Locri, Melicucco e Natile di Careri, oltre a quelli di Volpiano e Buccinasco nel Nord Italia.
Una novità emersa dalle indagini riguarda la gestione del traffico internazionale di stupefacenti, affidata a una struttura centralizzata nata dall’accordo tra i locali dei tre mandamenti. Questo organismo agiva come un vero e proprio “ramo d’azienda” della ‘ndrangheta, importando cocaina dal Sud America attraverso container sbarcati nel porto di Gioia Tauro, con la complicità di operatori portuali. La droga veniva poi distribuita in tutto il territorio nazionale grazie a una rete consolidata.
Le cosche Alvaro e Barbaro Castani sono risultate attive nel campo delle estorsioni a danno di commercianti e imprese. La cosca Alvaro, operante nel territorio di Sinopoli, imponeva la cosiddetta “messa a posto” anche alle ditte aggiudicatarie di appalti pubblici. La cosca Barbaro Castani, presente a Platì, Ardore e nei locali di Volpiano e Buccinasco, imponeva una tangente del 3% su ogni appalto nel territorio controllato.
Entrambe le cosche disponevano di una cassa comune per le spese legali e per il sostegno alle famiglie dei detenuti. Le indagini hanno inoltre documentato l’infiltrazione in alcune amministrazioni pubbliche, finalizzata a ottenere informazioni su appalti e gare, grazie alla collaborazione di imprenditori compiacenti. Risulta emerso anche un episodio di fornitura di mascherine e guanti sanitari all’Asp di Reggio Calabria.
Tra i nomi coinvolti spiccano gli ex consiglieri regionali calabresi Sebastiano Romeo, del Partito Democratico, e Alessandro Nicolò, già in Fratelli d’Italia, entrambi comunque indagati a piede libero. Arrestato e posto ai domiciliari anche Pasquale Tripodi, ex assessore regionale, pur senza l’aggravante mafiosa. Le indagini hanno rivelato un’associazione dedita al procacciamento illecito di voti in più consultazioni elettorali, tra cui quella regionale del 2020, a vantaggio di una candidata poi non eletta.
Secondo quanto illustrato da pm, l’inchiesta ha documentato un «rastrellamento sistematico di voti sul territorio» da parte delle famiglie mafiose in occasione delle elezioni regionali. Un’attività svolta con metodo e freddezza, del tutto svincolata da ideologie o appartenenze politiche.
Come spiegato dal procuratore aggiunto Ignazitto: «È emersa la figura di soggetti che, a prescindere da valore ideologico o appartenenza, si sono posti al servizio del migliore offerente per raccogliere voti presso le famiglie mafiose». In alcuni casi – ha riferito – le operazioni di raccolta voti non sono andate a buon fine, segno che il meccanismo non è sempre infallibile. «Questo ci consola – ha detto Ignazzitto – forse anche grazie al nostro lavoro di questi anni».
Le investigazioni hanno fatto emergere anche episodi di tensione interna tra cosche, tra cui un sequestro di persona ai danni di un affiliato della cosca Alvaro da parte dei vertici del locale di Platì per un debito di 45mila euro legato a una partita di droga. È stato accertato anche un caso di estorsione finalizzata al recupero di 125mila euro che un soggetto aveva ricevuto anni prima con l’impegno di corrompere un magistrato presso la Cassazione. Tentativo mai andato a buon fine, che portò alla condanna a otto anni del mandante.
Infine, è emerso il ruolo di uno degli indagati nel sequestro e nell’omicidio di Mariangela Passatiore, rapita a Brancaleone il 27 agosto 1977 e mai più ritrovata. Un capitolo doloroso della cronaca criminale calabrese che riaffiora con drammatica attualità.
L’operazione Millennium, pur ancora nella fase delle indagini preliminari, come spiegato gli inquirenti, conferma la complessità, la capacità organizzativa e la pericolosità della ‘ndrangheta, che continua a muoversi tra economia legale, politica e criminalità organizzata, consolidando il proprio potere anche oltre i confini della Calabria.
La repressione, tuttavia, da sola non basta. La ‘ndrangheta, come detto dal procuratore aggiunto Stefano Musolino, resta “resiliente” perché radicata in un tessuto sociale impoverito, dove alcuni membri vengono ancora riconosciuti come figure di riferimento. Serve un investimento culturale e civile, non solo giudiziario.
Da qui l'invito del procuratore Lombardo ai giornalisti: a raccontare la ‘ndrangheta per quello che è, senza banalizzazioni: «Solo la conoscenza rende liberi. Raccontate i fatti con serietà, costanza e lungimiranza». E ha concluso con un monito: «La ‘ndrangheta oggi è un modello criminale che funziona. Non possiamo permettere che continui a vincere».
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