Avvenire di Calabria

Polvere, Cenere e Sguardo alla speranza della Quaresima

L’essere polvere non significa dissolversi nel nulla. L’humus è terra feconda, è materia che accoglie la vita

di Valerio Chiovaro

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Con i suoi segni il Mercoledì delle Ceneri è la porta che si apre sull’esodo quaresimale

«Polvere eri e polvere tornerai» (Gen 3,19). La voce della Scrittura, nel Mercoledì delle Ceneri, ci riconsegna alla nostra verità più profonda. Siamo uomini, polvere. Ma humus che ha ricevuto il soffio di Dio, è stata sollevata dalla sua mano, e porta in sé una tensione ineludibile. L’uomo è anthropos, colui che solleva lo sguardo. Uno sguardo che è tensione tra la polvere e il cielo, tra il limite e l’infinito, tra il morire e il vivere per sempre.



L’essere polvere non significa dissolversi nel nulla. L’humus è terra feconda, è materia che accoglie la vita. Il limite della nostra condizione umana non è il sigillo di una condanna, ma il luogo in cui si gioca il senso della nostra esistenza.
Se la polvere è il principio, la cenere è ciò che resta quando tutto è stato consumato. Nella Scrittura, la cenere è spesso associata al lutto, alla penitenza, ma anche all’offerta. Giobbe, nel suo dolore, si siede sulla cenere (Gb 2,8), mentre a Ninive, davanti alla parola profetica di Giona, il re e il popolo si coprono di cenere in segno di conversione (Gn 3,6).

Polvere che ha attraversato il fuoco

La cenere è la polvere che ha attraversato il fuoco, ciò che resta quando tutto è stato consumato. È memoria della materia, è indistruttibilità umile. Nulla, nel mondo, è più perituro della cenere, eppure essa permane. Così è l’uomo: fragile e passeggero, eppure in cerca di qualcosa che resista alla sua caduta.

La cenere è l’ultimo residuo del sacrificio. È ciò che rimane quando il fuoco ha divorato l’offerta. Nel culto antico, la cenere dei sacrifici aveva un valore sacro: ciò che saliva al cielo come profumo d’incenso lasciava sulla terra un segno visibile. Niente della nostra vita si perde davvero quando è bruciato dall’amore, ciò che è stato sacrificato, rimane. E nel Mercoledì delle Ceneri, quel segno posto sulla fronte è una traccia duplice: ci dice che siamo destinati a consumarci, ma anche che ciò che è vissuto nel dono non si dissolve. Nel nostro tempo, così “consumato dal consumo” - che ha consumato anche l’umano - la cenere è un segno di re-esistenza dice che qualcosa rimane, che la memoria è più forte della dispersione, che l’uomo non può essere usato e gettato via.

Simbolo di fragilità e promessa

Siamo polvere, siamo cenere, fragilità imperitura e forza fragile. Ciò che siamo ci chiede un cammino, così, il monito che accompagna il gesto delle ceneri schiude un’altra possibilità: «Convertiti e credi al Vangelo» (Mc 1,15). Convertirsi significa ritornare (shub in ebraico), significa convergere (convertere in latino), significa cambiare mentalità (metanoia in greco). È un movimento del corpo, del cuore, della mente. È il recupero di uno sguardo perduto. Perché l’uomo è anthropos, colui che guarda in alto, ma non per fuggire la terra. Il suo sguardo è tensione: non dimentica l’orizzonte della terra, ma si lascia orientare dalla chiamata del cielo.

Con i suoi segni il Mercoledì delle Ceneri è la porta che si apre sull’esodo quaresimale. Gesù ci ha preceduto in questo cammino, spinto dallo Spirito, tentato dal nemico dell’umanità, immerso nel deserto della fame, della vanità del potere, del lutto delle relazioni. Egli ci ha preceduto per poterci accompagnare. Convertirsi, allora, non è solo un atto di volontà che inanella azioni virtuose, ma un cammino accompagnato. È lasciarsi guidare, è lasciarsi ricordare, è lasciarsi orientare.


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È accogliere le ceneri non come un vuoto rito che richiama la morte, ma come un segno di memoria e di promessa. Perché queste ceneri dicono la sacralità della vita, il dovere dell’umiltà, la missione trasformativa di ogni esistenza: dalla vita alla morte, dalla morte alla risurrezione. Convertirsi è la serenità di passare, la consapevolezza che questa Pasqua, come ogni Pasqua, non la attraversiamo da soli.

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