Avvenire di Calabria

Quando monsignor Giovanni Ferro salvò gli ebrei

«Non faceva differenze, salvaguardava sempre l’essere umano». Aiutò anche alcuni partigiani

di Giorgio Costantino

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«Per me ebreo, quel sacerdote cattolico che mi offrì un rifugio, è stato come un padre»

«Exultate, justi, in Domino». Con questo canto - noi del Coro Laudamus dell’Arcidiocesi reggina - aprimmo il concerto in onore di Mons. Giovanni Ferro nel lontano 1978. Eravamo a Roma; e, dopo aver fatto visita al nostro arcivescovo, ospite dei PP Somaschi, io stesso l’invitai per una giornata con noi nella Casa di Santa Francesca Romana. Lì eravamo ospiti, grazie all’interessamento del Dott. Pino Plutino, direttore della casa, che fu molto contento di far preparare un buon pranzo per tutti e specialmente per l’arcivescovo, che tutti accogliemmo festanti. E subito lo pregammo, anzi lo supplicammo, di tornare presto a Reggio, dove tutti ne sentivano la mancanza e lo attendevano. Il brano scelto si riferiva a un episodio che aveva visto Mons. Ferro difendermi con determinatezza dinanzi al Rettore del Seminario.



Oggi capisco che quel brano di Viadana era stato scelto felicemente, ma per esaltare la grandezza del Venerabile Giovanni Ferro, non ancora riconosciuto tra i giusti delle nazioni. Eppure fu proprio lui a salvare, in un periodo difficile della seconda guerra mondiale, durante gli anni della deportazione nazifascista, un giovane ebreo. Il fatto fu a lungo ignorato, poiché Mons. Ferro non ne aveva mai parlato. Fu, invece, lo stesso giovane ebreo di allora, Roberto Furcht, che saputo della causa di beatificazione di Mons. Ferro, volle dare testimonianza di una pagina “luminosisima” della vita di Ferro. Roberto Furch, a capo di una azienda di importazioni e commercio di pianoforti, egli stesso provetto pianista, testimoniò in una conferenza tenuta al Collegio Gallio di Como, che Mons. Ferro aveva lasciato un segno profondo nella sua vita.

La testimonianza

Roberto Furch, oggi ormai nell’aldilà, non ne aveva mai parlato, ma nella sua testimonianza precisa: «Da quando, nel 2008, è stata aperta la causa di beatificazione di padre Giovanni Ferro, voglio essere suo testimone, desidero raccontare la storia di un santo». «Ho ottant’anni e sono qui per rendere omaggio alla memoria del padre somasco e vescovo Giovanni Ferro, che mi accolse al collegio Gallio, qui a Como, durante l’occupazione nazista e al quale debbo la salvezza della vita. Padre Giovanni Ferro mi accoglie e mi fornisce, pochi giorni dopo, falsi documenti d’identità.

Al Gallio trascorro gli anni scolastici 1943-44 e 1944-45 con il padre rettore che ogni due giorni mi chiama nel suo ufficio per rinfrancarmi e interessarsi al progresso dei miei studi….Il padre Ferro, in tutto il periodo che io passo al collegio Gallio non fa mai richiesta di un qualsiasi pagamento di retta. Sotto questa protezione si giunge fino all’aprile 1945, quando finalmente il grande pericolo è passato. Intorno al 1965, mentre sono in viaggio di lavoro a Messina, faccio visita all’arcivescovado di Reggio Calabria, dove mi riceve con grande affetto…

«Salvaguardava l'essere umano»

«Per me ebreo, quel sacerdote cattolico che mi offrì un rifugio, è stato come un padre…un maestro di vita che mi ha insegnato soprattutto a vincere ogni sentimento di odio e di intolleranza». Questa la singolare testimonianza! Mons. Ferro manifestò sempre, con i suoi gesti, la sua statura di “giusto” generando sempre riconciliazione, favorendo la pace, intessendo sempre rapporti di giustizia e fraternità universale. A me stesso confidò, un giorno, in segreto, che, dopo aver sentito il cardinale di Milano Ildefonso Schuster, salvò Vittorio Mussolini, e con lui altri parenti. Si era nei giorni successivi alla morte di Mussolini con l’impiccagione in Piazza Loreto. Vestì da preti i parenti del Duce, e li accompagnò con il treno fino a Roma. Da lì raggiunsero Civitavecchia e partirono per l’Argentina.


PER APPROFONDIRE: Seminaristi d’Italia a Reggio: la missione è accoglienza, servizio e condivisione


«Non faceva differenze, salvaguardava sempre l’essere umano». Lo stesso fece - anche questo mi raccontò in segreto - quando nel Collegio aveva nascosto alcuni partigiani; arrivò una squadra fascista, che gli intimò di consegnare i partigiani, ma egli con coraggio rispose: «passerete sul mio corpo, ma qui non entrerete». Che esempio, il Venerabile Giovanni Ferro testimone umile e saldo, pronto a difendere ogni persona. Il vero giusto! «Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi serve il Cristo in queste cose, è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini. Diamoci dunque alle opere della pace e alla edificazione vicendevole». (Rm 14, 17-19)

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