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“La situazione nei Kivu è estremamente preoccupante e complessa, con gravi ripercussioni umanitarie, sulla sicurezza, sull’istruzione e sulla politica. Per evitare un peggioramento della crisi è essenziale una risposta coordinata e decisa del governo congolese, sostenuta dalla comunità internazionale”. Lo afferma Jean-Pierre Mutumambila, politologo e coordinatore del Centro Kinduku, opera formativa dei Gesuiti nell’ambito del loro progetto “Foi et Joie RdC” sostenuta dalla Fondazione Magis Ets.
L’operatore nel campo dell’istruzione sottolinea che “numerosi rapporti di esperti nazionali e internazionali confermano che i conflitti per il controllo delle risorse naturali, come il coltan e le terre rare, svolgono un ruolo centrale negli scontri attuali. Questi minerali, essenziali per l’industria tecnologica mondiale, costituiscono una delle principali fonti di finanziamento per i gruppi armati”. Inoltre, “il Ruanda è regolarmente accusato di sostenere l’M23, direttamente o indirettamente, per estendere la sua influenza nella regione e controllare lo sfruttamento di queste risorse. Sebbene Kigali neghi qualsiasi coinvolgimento, resoconti di esperti e organizzazioni internazionali suggeriscono che il supporto logistico e militare ruandese all’M23 ammonterebbe a 4.000 soldati ruandesi, il che alimenta le tensioni regionali. E oggi, nelle diverse aree recuperate dai ribelli, possiamo notare visibilmente le Forze di difesa del Ruanda (Rdf) garantire e controllare lo sfruttamento di questi minerali”. “Oggi, alla luce dei numerosi eventi conseguenti all’instabilità nel Gran Kivu, numerosi gruppi armati, sia nazionali che stranieri, operanti in diverse regioni del Paese, in particolare nel Nord Kivu, nel Sud Kivu e nell’Ituri, sono spesso coinvolti in violenze contro i civili, saccheggi e nel traffico illecito di minerali (coltan, oro, rame e altri materiali essenziali)”, prosegue, evidenziando che “ad alimentare tale crisi sono gruppi come le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (FdlR), l’M23/Afc, le Forze democratiche alleate (Adf) e altre milizie locali”.
Riguardo al campo specifico in cui opera Mutumambila, “l’impatto sulle attività umanitarie ed educative è considerevole. Già dall’inizio della crisi, l’Unicef ha evidenziato nel suo rapporto che oltre 1,6 milioni di bambini sono fuori dalla scuola. Dopo la cattura di alcune località, in particolare le città di Goma e Bukavu, le scuole sono state chiuse nelle province del Nord Kivu e del Sud Kivu a seguito degli scontri. E nonostante la timida ripresa delle lezioni a Goma il 10 febbraio 2025, sono tornati pochissimi studenti perché alcuni genitori sono titubanti a rimandare i propri figli a scuola a causa della fragilità della zona”. Di fatto, denuncia Mutumambila, “le organizzazioni umanitarie locali e internazionali incontrano grandi difficoltà nell’accedere alle popolazioni sfollate e nel fornire assistenza essenziale (cibo, cure mediche, alloggio). I combattimenti e l’insicurezza rendono pericolosi i viaggi, limitando la capacità di intervento degli attori umanitari. Sul fronte dell’istruzione, molte scuole sono state chiuse o distrutte, privando migliaia di bambini dell’accesso a un’istruzione di qualità. Anche i programmi di sostegno psicologico e di reinserimento sociale risultano interrotti, poiché i bisogni aumentano a causa dei traumi subiti dalle popolazioni colpite”.
Fonte: Agensir