È sempre difficile dare l’addio ad una persona cara. È sempre difficile e lo è stato soprattutto stavolta. Con la dipartita di don Benvenuto Malara un’intera comunità ha fatto esperienza del sentirsi orfana. Originario di Santo Stefano d’Aspromonte, don Benvenuto è stato per ben cinquantadue anni pastore attento e fedele della parrocchia Maria SS. Immacolata di Melito di Porto Salvo. Arrivato qui nell’ottobre del 1966 è riuscito con pazienza e costanza a scardinare e vincere la diffidenza di una cittadina fino a quel momento descritta da Monsignor Giovanni Ferro come la spina della diocesi. Ma sin da subito don Benvenuto ha amato e col tempo è stato amato da tutti.
Così domenica 5 luglio, nel rispetto della vigente normativa anti Covid-19, sono stati tanti i fedeli che hanno popolato il sagrato della chiesa Maria SS. Immacolata per partecipare alla messa in suo suffragio. Come in un imperscrutabile disegno divino, la celebrazione eucaristica è stata presieduta da don Ivan Iacopino, giovane sacerdote che sin da bambino ha saputo mettersi alla sequela di Cristo avendo come esempio diretto proprio don Benvenuto Malara. Insieme a don Ivan hanno concelebrato don Sebastiano Plutino, don Giuseppe Nipote, don Fabrizio Namia e don Luca Mazza.
Riunita intorno all’altare, la comunità melitese ha reso grazie a Dio per aver avuto un sacerdote totalmente assorbito dalla sua missione: vivere al servizio del Vangelo, scorgendo in ogni uomo la presenza del Verbo. Don Benvenuto nutriva una profonda fiducia negli uomini e in modo particolare nei giovani. Più di chiunque altro nell’area grecanica ha saputo scommettere su di loro, sui loro talenti e sulle loro vive energie. Non a caso, don Ivan lo ha voluto ringraziare a nome dei giovani, di quelli presenti e di quelli lontani, per l’amore che ha saputo donare loro e per l’esempio di vita totalmente dedita al prossimo. Don Benvenuto invitava i suoi giovani a mettersi in discussione, a interrogarsi avendo dinanzi la croce di Cristo. Invitava a farlo, perché egli per primo – come ha ricordato don Ivan – «era così… un uomo in continua conversione, un uomo perennemente in discussione che cercava in ogni cosa di piacere al Signore, riconoscendo i suoi limiti e le sue mancanze».
Nella sua omelia don Ivan ha volutamente evitato «di fare bilanci; di esaltare la memoria di ciò che è stato don Benvenuto in quanto uomo e sacerdote; di elencare attività ed opere, che pure noi ben conosciamo. Solo Dio vede il bene, solo Lui è in grado di valutare intenzioni ed azioni, a Lui solo spetta giudicare lacune ed errori. Egli vede la rettitudine della coscienza, l’amore per questa città di Melito di cui è stato cittadino onorario, e che il caro don Malara soleva definire mia casa e famiglia». L’amore per Melito, sì. In un territorio segnato da divisioni sociali e gravi miopie politiche, don Benvenuto è stato un faro luminoso, il timoniere coraggioso che con fare instancabile ha sempre orientato la rotta della sua comunità verso il bene comune. Lì dove le istituzioni tacevano, la Chiesa e don Benvenuto agivano. Con fare paterno ha sempre saputo tendere la mano ai tanti, uomini e donne, che almeno una volta si sono trovati a bussare alla sua porta, rendendo il centro parrocchiale un indiscutibile presidio di carità.
«Il senso di orfananza che in quest’ora si sente forte più che mai, la solitudine che ci portiamo addosso, le tristezze e le ansie personali come anche quelle comunitarie – ha detto don Ivan nella sua omelia – non possono essere l’ultima parola». Ed è proprio così. Prendendo in prestito le parole di Victor Hugo ne “I Miserabili”, l’intera vita di don Benvenuto Malara insegna che non bisogna cancellare il dolore con l’oblio ma ingrandirlo e nobilitarlo con la speranza, quella speranza che ha sempre animato l’agire dell’uomo, del padre e del maestro Benvenuto.
Eliana Liuzzo