Avvenire di Calabria

La festa di San Martino ci porta a Bivongi per conoscere una realtà che promuove non solo le produzioni vitivinicole

Viticoltura eroica e biologica: quando il vino racconta la Calabria

Un viaggio tra tradizione e innovazione nel cuore dei vigneti della Regione attraverso l'esperienza di Cosimo Murace

di Mariarita Sciarrone

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Oggi 11 novembre, con la festa di San Martino, si rinnova in tutta Italia un’antica tradizione legata alla viticoltura che intreccia agricoltura, religione e cultura popolare: fortemente radicata anche in Calabria, questa festa celebra l’importanza del vino e delle tradizioni agricole locali.

San Martino in Calabria, alla scoperta della viticoltura eroica

In questo approfondimento esploriamo il legame tra territorio e viticoltura attraverso un’intervista a Cosimo Murace, perito chimico ed enologo, che ha fatto della viticoltura eroica e biologica la sua missione aziendale.



Risalendo da Monasterace lungo la Vallata dello Stilaro, si arriva a Bivongi. Questo territorio è celebre per le sue ricchezze naturali, come le Cascate del Marmarico, per essere conosciuto come il “paese della longevità” e per i suoi vigneti secolari. È proprio qui che, nel 1996, è nata la DOC Bivongi. Abbiamo avuto il piacere di intervistare Cosimo Murace, perito chimico, enologo, profondo conoscitore del territorio, che ha fatto della viticoltura eroica e biologica una missione aziendale.

La viticoltura di Bivongi è caratterizzata da caratteristiche orografiche complesse. Quali sfide comporta coltivare i vigneti su queste colline e come queste condizioni contribuiscono alla qualità del vino prodotto?

I vigneti di questo territorio, definiti “eroici” per via delle pendenze e della distanza dai centri abitati, richiedono maggiori sforzi fisici e tecnici rispetto a vigneti situati in pianura, sia per la manutenzione che per la raccolta dell’uva. Nonostante le difficoltà, queste condizioni offrono vantaggi unici. In questo territorio vi è la presenza di falde acquifere a circa 5-10 metri di profondità. Questa risorsa idrica, unita al terreno permeabile e non argilloso, permette all’acqua di risalire per capillarità, raggiungendo le radici delle viti anche in periodi di siccità.


PER APPROFONDIRE: Turismo delle radici e cibo: la Calabria è al primo posto


Allo stesso tempo, i vigneti sono ben esposti, soleggiati e da un punto di vista anche della coltivazione non necessitano di molte cure per combattere le malattie crittogamiche, sono sufficienti uno o due trattamenti all’anno. Ciò contribuisce naturalmente alla bontà del prodotto, con residui chimici nel vino che sono infinitesimali. Tutto ciò ci consente di coltivare anche con il metodo dell’agricoltura biologica.

La sua azienda ha adottato l’agricoltura biologica dal 2001. Quali sono le principali differenze che ha riscontrato rispetto alla viticoltura convenzionale?

La scelta del biologico ha influenzato positivamente la qualità del vino. Preservare le caratteristiche naturali del prodotto, evitando trattamenti chimici intensivi, ha permesso di ottenere un vino che riflette meglio le caratteristiche del territorio e della varietà di vite coltivata. Inoltre, la riduzione dell’uso di sostanze chimiche si traduce in una maggiore purezza del vino, con residui praticamente inesistenti, migliorando così l’esperienza del consumatore e la salubrità del prodotto finale. L’agricoltura biologica ha portato a un vino più genuino, rispettoso dell’ambiente e del consumatore, con una qualità che esalta le caratteristiche naturali delle uve e del territorio di Bivongi.

Bivongi è un territorio ricco di storia e tradizione vitivinicola. In che modo la DOC Bivongi ha influenzato lo sviluppo della viticoltura locale e la valorizzazione dei vitigni autoctoni? 

L’ottenimento della Denominazione di Origine Controllata (Doc) ha rappresentato un traguardo importante per il territorio di Bivongi, poiché ha permesso fin dall’approvazione del disciplinare, di inserire per la produzione del vino solo e semplicemente dei vitigni autoctoni. Questo ha contribuito a differenziare il vino Bivongi dai vini prodotti con vitigni internazionali come Syrah, Malbec o Cabernet, ponendo l’accento sull’unicità delle varietà locali. La scelta di concentrarsi sui vitigni autoctoni, ha contribuito a creare un vino unico, strettamente legato alla storia, alla cultura e alle caratteristiche climatiche della zona. Anche se il vino può risultare diverso rispetto a quelli ottenuti da vitigni più conosciuti a livello internazionale, può piacere o non piacere, la sua forza sta proprio nell’autenticità e nel legame con il territorio. È un vino che ti deve appassionare per quello che significa e quello che significa è dato soprattutto dal terroir. 

La sua azienda è nata nel 1998 con la ristrutturazione del vigneto di suo nonno. Quanto è importante il legame con la tradizione familiare e come riesce a coniugarlo con l’innovazione nel processo produttivo?

Ho voluto dare nuova vita a quei vigneti, non solo per continuare un’attività di famiglia, ma per onorare la memoria di chi, prima di me, ha lavorato questa terra con fatica e amore per il territorio. I miei vini cercano di riportare chi li assaggia a un tempo passato, a quei momenti in cui il vino si beveva in un bicchiere di vetro piccolino, accanto al caminetto, accompagnato da pane, formaggio o una padella di caldarroste. Uno degli esempi migliori di questa unione tra tempo passato e presente è il mio vino rosso, il Cosmì.

Cosimo Murace nel suo vigneto a Bivongi

Con questo vino, ho voluto mantenere quel sapore autentico e rustico che ricorda il vino di una volta. Tuttavia, ho innovato i metodi di vinificazione e adottato nuove accortezze tecnologiche per migliorare la qualità del prodotto. Ho cercato di stare al passo coi tempi, aprendo poi le porte della mia cantina agli enoturisti e agli appassionati, creando percorsi esperienziali che permettono ai visitatori di scoprire non solo il vino, ma anche il territorio che lo circonda. Attraverso tour guidati, voglio far vivere l’essenza di questo luogo, raccontando la storia della nostra famiglia e della nostra terra, e permettendo alle persone di immergersi in un’esperienza autentica.

In Calabria, il settore vitivinicolo è spesso caratterizzato da piccole imprese familiari che, come la sua, portano avanti tradizioni secolari. Quali sono, secondo lei, le principali sfide e opportunità per le piccole cantine calabresi oggi e come vede il futuro del vino biologico nella regione?

Fintanto che le aziende riescono a praticare la sostenibilità, riducendo l’uso di sostanze chimiche, il consumo d’acqua e l’impatto ambientale complessivo, mantenendo un equilibrio che non impoverisce il terreno né inquina l’aria, si possono produrre vini di alta qualità, autentici e legati al territorio. È questa con ogni probabilità la sfida della viticoltura regionale, non trascurando naturalmente quelle che sono le grandi aziende che hanno portato il nome della Calabria nel mondo, mi riferisco soprattutto alla famiglia Librandi, ma anche queste nostre piccole aziende con queste caratteristiche possono fare la differenza.



Il consumatore oggi è molto più attento al prodotto che beve, ed è disposto a remunerare nel modo giusto un prodotto che rispetta l’ambiente e racconta una storia. La storia possiamo raccontarla aprendo le nostre cantine ai visitatori, mostrando direttamente chi siamo, come lavoriamo e quanto ci impegniamo per offrire un prodotto genuino. Non c’è bisogno di fare quantità ma soprattutto qualità, è a questo soprattutto a cui dobbiamo puntare.

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