Avvenire di Calabria

Strage di Capaci, il dovere di resistere: la riflessione di don Pino Demasi

Sono trascorsi trentatré anni da quel terribile giorno allorché la storia del nostro Paese sembrò fermarsi come annientata dal dolore e dalla paura

di Pino Demasi

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Il silenzio assordante dopo l’inaudito boato rappresentò in maniera efficace il disorientamento che provò il Paese di fronte a quell’agguato senza precedenti

Il 23 maggio, giorno della strage di Capaci in cui morirono Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, e gli agenti Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo, è una di quelle date che sono diventate simbolo di riscatto avendo consegnato alla storia persone che hanno creduto nello Stato, nella giustizia, nell’onestà. Una data, quindi, che nessuno ha il diritto di dimenticare. Sono trascorsi trentatré anni da quel terribile giorno allorché la storia del nostro Paese sembrò fermarsi come annientata dal dolore e dalla paura. Il silenzio assordante dopo l’inaudito boato rappresentò in maniera efficace il disorientamento che provò il Paese di fronte a quell’agguato senza precedenti.



Si determinò il rischio concreto che la nostra democrazia potesse precipitare in un abisso senza ritorno. Basta ricordare le accorate parole, «è tutto finito, non c’è più niente da fare», pronunziate qualche mese dopo, al funerale di Paolo Borsellino da Caponnetto. Ma allo smarrimento iniziale seguì l’immediata reazione delle istituzioni, che si opposero con la forza degli strumenti dello Stato di diritto. E vi fu una forte reazione corale di contrasto da parte della società civile, una vera e propria Resistenza che ci ha salvati dall’abisso. Ma, a tanti anni di distanza, non dobbiamo e non possiamo purtroppo dormire sonni tranquilli. Oggi più che mai dobbiamo continuare a camminare sulla strada dell’impegno.

Oggi più che mai dobbiamo dare peso, forma ed efficacia politica alla necessità di potenziare il contrasto al crimine tutt’ora presente in varie forme. Le mafie non sono, infatti, più quelle di ieri. L’intelligenza artificiale è già diventata intelligenza criminale. Non più lupare e coppole, ma colletti bianchi. Non più solo traffici di droga e estorsioni, ma infiltrazioni nel mondo finanziario, nell’economia legale e nella politica. La mafia si è ormai “normalizzata”. Si nasconde dietro meccanismi perversi, volti insospettabili, imprese apparentemente legali e rapporti con la politica, sempre più diffusi, disincantati e pragmatici.

E allora meno parole, meno celebrazioni, meno antimafia parolaia e di facciata. Dobbiamo tutti sentirci impegnati per reagire soprattutto a questo tentativo in atto di normalizzazione della presenza mafiosa. E senza paura di chiamare le cose per nome e definire mafioso tutto ciò che dalle mafie prende esempio: il capitalismo predatorio e senza regole, una politica opportunista, serva del consenso più che al servizio del bene comune e della tutela dei diritti dei cittadini, e una cultura della competizione, della sopraffazione e dell’egoismo che contagia ormai qualsiasi settore della vita privata e pubblica.

Provvidenziale è la campagna «Fame di verità e giustizia» che Libera, a trent’anni dalla sua nascita, sta proponendo. Un percorso che attraverserà l’Italia, da Nord a Sud, con iniziative, flash mob, laboratori, assemblee, speaker corner e azioni di denuncia per animare il dibattito pubblico con l’obiettivo di riscrivere la piattaforma in tema di lotta alle mafie e corruzione, con una funzione di advocacy rispetto alle istituzioni competenti. Con questa campagna Libera chiede scelte politiche concrete e strutturali, non proclami.

In particolare chiede: norme più efficaci su confisca e riutilizzo sociale dei beni mafiosi; l’inserimento del diritto alla verità nella carta costituzionale; l’approvazione di una regolazione stringente delle situazioni di conflitto di interesse; una strategia nazionale sulle aree a forte povertà educativa; una legge quadro del settore del gioco d’azzardo; tutela e sostegno per chi denuncia e rompe con il crimine; politiche inclusive per chi vive in situazioni di marginalità; Risorse e strumenti per il contrasto reale alle mafie e alla corruzione; l’inserimento nell’ordinamento della direttiva sulle querele temerarie.


PER APPROFONDIRE: L’Eparca di Lungro incontra Papa Leone: «Gli ho augurato molti anni»


Una vera e propria agenda civile da rimettere al centro della politica, per una società libera da mafie e corruzione, fondata su diritti, uguaglianza, accoglienza e responsabilità. Un’agenda che interpella tutti e che chiede a tutti di scegliere da che parte stare. Una scelta da fare per noi e per le generazioni future. E anche per quegli uomini che hanno dato la vita per un’ideale di Libertà e Giustizia.

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