Avvenire di Calabria

Domenico Romeo è finito in manette assieme al fratello ed altri 46 uomini ritenuti organici alla 'ndrangheta guidata da Ernesto Fazzalari

Taurianova. Quel sindaco antimafia «appoggiato» dal superboss

Federico Minniti

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Sarebbe stato la “testa di ponte” dei clan nella politica: Domenico Romeo, ex sindaco di Taurianova, per anni – però – si è travestito da amministratore antimafia. Un'immagine pubblica destinata a cambiare dopo l'arresto dello stesso ex primo cittadino calabrese finito nell'elenco dei 48 fermati tutti accusati di associazione di tipo mafioso, estorsione, danneggiamento, trasferimento fraudolento di valori, procurata inosservanza di pena e porto illegale di armi, con l'aggravante delle finalità mafiose nell'operazione “Terramara-Closed” firmata dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria che ha coordinato i militari di Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza.

La cosca decapitata è quella dei Zagari-Fazzalari-Viola, potentissimo cartello criminale della Piana di Gioia Tauro, confederata alla famiglia Sposato che esercitano un ruolo baricentrico nella gestione del Comune di Taurianova assieme agli alleati dei Maio-Cianci di San Martino.

Una galassia criminale che orbitava attorno a Ernesto Fazzalari, boss-latitante per oltre vent'anni e catturato dai carabinieri nella campagne di Molochio lo scorso 25 maggio 2016. Il nome di Fazzalari e della sua cosca omonima sono legati alla faida di Taurianova: una guerriglia mafiosa che costò 32 morti tra il 1989 e il 1991. I Fazzalari vinsero quella guerra con tanto di “tiro a segno” in piazza con la testa mozzata di uno degli avversari: da quel clima di odio scaturì un muro di omertà e paura durato oltre venticinque anni e tramutato in ben tre scioglimenti dei consigli comunali per infiltrazione mafiosa: nel '91 fu il primo in Italia; le altre due volte a governare era proprio Domenico Romeo, ma non era da solo. Il suo braccio destro, già nominato assessore con delega allo Sport, Francesco Sposato era molto di più di un semplice amministratore locale: era, secondo gli inquirenti della Dda, l'uomo di punta di un casato mafioso che negli anni aveva aumentato il proprio potere sul territorio. Politici, imprenditori e 'ndranghetisti: così la locale di 'ndrangheta di Taurianova, tra le più “tribali” della provincia di Reggio Calabria, si era trasformata in una holding di 'ndrine la cui “pax mafiosa” era stata sancita a colpi di kalashnikov e lupara. E i toni, nonostante la calma apparente, non era mai cambiati: «Digli di prenderlo da noi. Lo dico per il bene loro, non per il bene nostro. È meglio che non si portino neanche un secchio», diceva il capo-famiglia Pino Sposato ad un sodale in occasione della fornitura di calcestruzzo ad una ditta cosentina che si era aggiudicata l'appalto del Mibact per la ristrutturazione della più antica chiesa di Taurianova, ubicata nella centrale piazza Italia del paese.

Loro, gli Sposato, si erano “allargati” divenendo imprenditori in diversi ambiti: costruzione di edifici, commercializzazione all’ingrosso di materiali per l’edilizia, produzione del calcestruzzo sino al settore alimentare. Un “appetito” che era stato mal digerito da Domenico Romeo che, al momento di ricandidarsi alla guida di Taurianova, aveva esautorato Francesco Sposato dalla sua lista. La lite tra i due era nata in virtù del project financing del nuovo cimitero di Iatrinoli. «Volevano quel progetto al cimitero – si legge nelle intercettazioni dell'ex sindaco – dopo i lavori, volevano stabilire pure il prezzo su tutte le cose». Persino sulla morte delle persone, «dovevano chiedere il permesso a loro» commenta. Quei dissidi portarono a diverse intimidazioni tra cui l'esplosione di diversi colpi d'arma da fuoco contro la macchina del primo cittadino. Atti che resero - per l'opinione pubblica - Romeo come un politico che si era ribellato alle 'ndrine seppur quest'ultimo, affiancato dal fratello Antonio anch'esso finito in manette, potesse contare sull'appoggio incondizionato della cosca egemone, i Zagari-Fazzalari-Viola: il sindaco antimafia, infatti, firmava gli atti per rilasciare concessioni edilizie sui fondi agricoli per l’avvio di attività imprenditoriali finalizzate allo sfruttamento delle energie rinnovabili da parte di aziende riconducibili ai boss e finite sotto sequestro nell'operazione “Terramara-Closed” per un totale di beni per 25 milioni di euro. Nonostante questo costante tentativo di infiltrazione nella Pubblica Amministrazione di Taurianova, lo Stato non ha mai smesso di vigilare sul territorio: prima l'arresto del super-latitante Fazzalari, di cui è stata ricostruita nell'operazione di ieri anche la rete di supporto, poi l'azzeramento dei clan satelliti quelli che, all'ombra del boss sanguinario, si erano costruiti una seconda vita a suon di milioni di euro pubblici. «Taurianova – commenta Gaetano Paci, procuratore aggiunto di Reggio Calabria – adesso è davvero liberata».

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