Avvenire di Calabria

Più disoccupazione, nessuno interviene

A chi sta a cuore il futuro dei giovani

Redazione Web

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di Giuseppina Tripodi * - La parola crisi, abusata soprattutto negli ultimi anni, non consente di assumere le dovute responsabilità rispetto ad un problema molto più grande, quello della disoccupazione giovanile. Un problema di cui tutti dobbiamo sentirci investiti per essere i protagonisti del tanto agognato cambiamento. La parola crisi, invece, sembra essere quella giusta per intorpidire le coscienze dei nostri ragazzi e catalizzare la loro attenzione sull’impossibilità a costruirsi un domani. È così che ogni iniziativa per creare un lavoro per sé e per altri, nonostante le competenze, l’impegno e il sacrificio, viene mortificata. Ecco quindi, che le nostre Università immatricolano pochissimi iscritti; le nostre menti si disperdono nella sempre più vana fiducia di cercare fortuna altrove; la nostra terra si impoverisce di volti, di mani operose, di persone che potrebbero farla rinascere. Quando ci domandiamo come mai i giovani incontrano difficoltà nel fare impresa possiamo risponderci in molti modi. Possiamo dare la colpa alla globalizzazione, alla difficoltà di accedere al credito, alla carenza di strutture informative, alla carenza di incubatori di idee o di luoghi in cui le idee vengano messe in circolo dai ragazzi per poi passare dalla fase ideale a quella concreta. Possiamo parlare della troppa burocrazia, della incompetenza ma davvero abbiamo il coraggio di credere ad una ta- le visone della realtà? Sarebbe un grave errore. I giovani bisogna ascoltarli da vicino. Per chi li frequenta – come gli animatori di comunità del progetto Policoro – vede e vive il concretizzarsi (sempre più raramente) del passaggio dall’idea alla nascita di un’impresa, la lettura della realtà è diversa perché diverse sono le lenti attraverso cui ha l’onere e l’onore di filtrare la realtà che tocca. I giovani che si incontrano in questi percorsi, e che vengono accompagnati nella costruzione del loro progetto di vita lavorativa, sono quei giovani che sono stati sostenuti dalla speranza. Una speranza che hanno imparato a conoscere in seno alla famiglia di origine, una speranza che è stata sostenuta dall’incoraggiamento di insegnanti ed educatori? Perché è questo che devono dare gli adulti, perché è questo che serve davvero ai giovani per fare impresa. Sembrerà banale e scontato ma se nessuno crede in loro, se la famiglia prima e le agenzie educative dentro le quali un giovane si muove non lo incoraggiano e lo guidano responsabilmente a coltivare i propri talenti, come si può successivamente pretendere che questo giovane impari, solo in ragione di un susseguirsi di tappe anagrafiche, a prendere in mano la propria vita e ad innescare percorsi virtuosi di dignità nel lavoro per sé e per altri? Come si può pretendere che un ragazzo che non è stato custodito dalla propria comunità possa decidere d’un tratto di curarsi della comunità stessa con idee imprenditoriali? Come si può puntare il dito contro i ragazzi senza pensare a quali siano le responsabilità degli adulti? Forse occorre fare un’attenta riflessione su questi interrogativi per capire le difficoltà che i giovani di Calabria, e d’Italia, incontrano nel fare impresa.

* Animatrice del progetto Policoro

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