Avvenire di Calabria

Il sacerdote fu vittima di un agguato mafioso della 'ndrangheta nel 1989

A San Luca un busto per ricordare don Giuseppe Giovinazzo

Redazione Web

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Un busto di don Giuseppe Giovinazzo, il sacerdote di 53 anni ucciso in un agguato di stampo mafioso il primo di giugno del 1989 sulla strada che da Montalto porta al Santuario della Madonna della Montagna Polsi, è stato collocato domenica nell'area sacra del Santuario. La cerimonia, voluta dalla Diocesi di Locri-Gerace, nel corso della quale è stata recitata una preghiera dedicata al sacerdote, è stata officiata dal vescovo monsignor Francesco Oliva.

L'omelia di monsignor Francesco Oliva:

Desidero ravvivare nella Comunità credente il ricordo di Don Giuseppe Giovinazzo, il sacerdote trucidato in un agguato di stampo mafioso il 1° giugno 1989, intorno alle ore 18, sulla strada che da Montalto porta a Polsi. Come prega il salmo 111, “il giusto sarà sempre ricordato”. “Il giusto”, nel nostro caso, è un sacerdote che ha perso la vita nell’esercizio del suo ministero sacro nel Santuario di Polsi. Se ogni morte violenta non trova ragione, ancora di più questo vale per un sacerdote, che ha donato interamente la sua vita a Dio. Con tutte le fragilità di un’umanità ferita.
Don Giovinazzo era nato a Portigliola il 14 novembre 1936 da Saverio Pasquale e Maria Carmela Alfarone. Ordinato sacerdote in Moschetta il 29 giugno 1962, il 31 agosto 1962 gli fu affidata la parrocchia Maria SS. Immacolata in Moschetta, frazione di Locri. Il 1 luglio 1967 divenne parroco a Portigliola, e vicario parrocchiale a Moschetta. Insegnante di Religione presso la Scuola Media “Ferraris” di Locri, dal 1975 al 1977 fu revisore dei conti e assistente spirituale del Santuario di Polsi in collaborazione con il rettore don Giosafatto Trimboli.
Fu molto impegnato nell’Azione Cattolica e nella Caritas parrocchiale. 
Assassinato il 1 giugno 1989, il suo corpo fu rinvenuto il giorno dopo, giovedì mattina, verso le ore 10, da un operaio forestale, che transitava sulla strada che conduce al Santuario diretto al suo lavoro. L’omicidio era avvenuto nella serata del mercoledì precedente, mentre il sacerdote rientrava a Locri. Le armi usate furono una lupara ed una pistola calibro 9. I funerali si svolsero domenica 4 giugno 1989. Erano presenti la comunità parrocchiale, il Clero diocesano, i sindaci di Locri e Portigliola, il preside della Scuola Ferraris di Locri e varie associazioni. 
Il Vescovo Antonio Ciliberti, nella sua omelia, descrisse il sacerdote come uomo sereno, del quale tutti parlavano bene, umile e disponibile. La sera precedente al delitto aveva avuto un colloquio con don Giovinazzo: “Abbiamo parlato della nuova stagione dei pellegrinaggi a Polsi - raccontava il vescovo -, del lavoro da avviare per il rilancio del culto ma anche per un nuovo impulso e il nuovo significato da affidare alla nostra missione presso quel Santuario”. Nulla presagiva quanto sarebbe accaduto il giorno dopo. Nella sua omelia in occasione delle esequie (in Rivista Diocesana, pp. 62-63), il Vescovo, oltre ad esprimere il suo dolore, sottolineava il sacrificio di don Giuseppe come partecipazione al mistero pasquale di Cristo, morto e risorto per noi. Osservava come da quel sacrificio venisse un messaggio di amore e di speranza contro l’odio e la vendetta che insanguinavano il territorio aspromontano. Don Giovinazzo – diceva il Vescovo – è stato un apostolo”, latore di un messaggio di amore che porta a riconoscere ogni uomo come nostro fratello. “Durante 27 anni di ministero sacerdotale, - continuava – (don Giuseppe) con la parola e con la vita, ha affermato che l’unica verità è l’amore. La ricchezza di questo insegnamento è una lezione per tutti, ma lo è soprattutto per coloro che, disorientati dall’egoismo e dall’odio, diventano facili prede del maligno”. Questo insegnamento doveva continuare ad essere una lezione contro l’odio, l’egoismo e coloro che seminano la morte. A questi il Vescovo chiedeva il cambiamento di vita e la conversione. 
Nella “Rivista Diocesana” (anno I 1989-90: pp. 61-64). In un Comunicato della Curia Vescovile, Mons. Antonino Sgrò, vicario generale, oltre ad esprimere sgomento per l’accaduto, manifestò il cordoglio di tutto il clero diocesano, affermando che don Giovinazzo si era sempre distinto per fedeltà ed impegno, competenza e disponibilità. Il suo impegno pastorale era stato rivolto particolarmente alla promozione della maturazione umana e cristiana. 
In una solenne concelebrazione nella Cattedrale di Locri veniva offerta alla famiglia una medaglia d’oro con la scritta “A don Giuseppe Giovinazzo – Locri – 1.6.1989 – Il presbiterio diocesano in onore del suo olocausto. Locri, 22 giugno 1989”. La FACI, delegazione regionale per la Calabria offriva una targa in memoria: “A grata memoria dell’indimenticabile don Peppino Giovinazzo falciato da mano sacrilega in zona Polsi. Memori del cuore generoso e animo nobile nel ministero pastorale e nel culto alla Vergine di Polsi, la FACI regionale in perenne ricordo come segno di solidarietà e di partecipazione del clero di Calabria verso la Chiesa che è in Locri, in piena comunione di cordoglio e di sicura fede. Nell’accoglienza del confratello vittima nell’eterna liturgia dei testimoni del Risorto. Offre il Presidente don Matteo Teotino. Reggio Calabria, 15.6.1989”.
A distanza di oltre ventisette anni, restano ancora aspetti della sua vita che meriterebbero di essere chiariti. Un primo riferimento è all’accusa mossa nei suoi confronti per aver celebrato il 31 ottobre del 1985 le nozze di Giuseppe Cataldo. Un altro episodio sotto osservazione era avvenuto il 14 marzo del 1986, allorchè don Giuseppe fu protagonista, in qualità di assistente del Santuario di Polsi, di una vibrata protesta con esposto alla Procura della Repubblica nei confronti delle forze di polizia che avevano forzato la porta d’ingresso del Santuario, che fu sottoposto ad un’accurata perquisizione. Don Giovinazzo reagì con risolutezza, affermando che gli si potevano chiedere le chiavi che non avrebbe avuto alcuna riserva a consegnarle. Alla protesta si associò anche la Curia. Un altro fatto su cui scrissero i giornali riguarda il comportamento del sacerdote in occasione del sequestro di Cesare Casella. 
I tempi di don Giovinazzo erano tempi molto difficili, gli anni di piombo, in cui la mafia uccideva ed imperversava con modalità feroci che col tempo le forze dell’ordine e la Magistratura terranno sotto controllo. Molte circostanze restavano ancora in ombra. Mancava ancora la maturazione di una vera coscienza civile sulla gravità del fenomeno mafioso. Oggi le cose stanno cambiando. Le istituzioni hanno compreso che la mafia e la ‘ndrangheta possono essere sconfitte solo attraverso un’azione sinergica sul piano del controllo del territorio e del suo sviluppo economico, sociale e culturale. Come Chiesa sentiamo di dover essere più presenti nel tessuto sociale e culturale della nostra società e desideriamo dare un contributo essenziale sul piano della formazione ad una fede più viva e partecipe alla realtà sociale, più capace di incarnare il Vangelo nella storia. Non una fede intimistica, che non scomoda nessuno, che si adatta a tutte le situazioni, accomodante e conciliante in ogni caso. Tutti, sacerdoti, fedeli laici e credenti sappiamo che il futuro della nostra terra dipende molto da noi. La stessa pietà popolare, liberata da incrostazioni devozionali tradizionali che addormentano le coscienze ed allontanano dai veri problemi della vita, dovrà dare un impulso importante in questa direzione.  
Tornando al tema della giornata, una cosa è certa: don Giovinazzo è stato trucidato sulla strada per Polsi dopo una giornata di servizio pastorale nel Santuario. Non può di conseguenza essere trascurato il legame esistente tra la sua uccisione ed il ministero pastorale esercitato. A chi poteva dare fastidio? Quali iniziative pastorali del sacerdote potevano avere suscitato la reazione violenta che portò a decretarne la morte? Sono tutte circostanze che meritano di essere approfondite e chiarite.
Quello di don Giovinazzo è un tributo di sangue che la Chiesa di Locri-Gerace ha dovuto pagare all’arroganza e prepotenza di un’associazione criminale di stampo mafioso, che già  nel 1989 esercitava un cruente potere criminale ed il controllo del territorio, seminando lacrime e sangue. Il delitto è rimasto impunito ed i suoi responsabili si sono dileguati. Ma il loro gesto assassino non può non turbare per sempre le loro coscienze. Come turba le nostre coscienze. Anche per loro preghiamo nella speranza che il nostro perdono cristiano susciti (o abbia suscitato) in loro un vero pentimento. Quello che più offende la nostra coscienza civile è il sapere che ci sono soggetti che operano indisturbati nell’anonimato, progettano morte e decidono le sorti del nostro popolo.
Oggi, con il busto che collochiamo all’interno dell’area sacra del Santuario di Polsi, desideriamo onorare la memoria di don Giovinazzo. Ci auguriamo che il suo sacrificio non sia caduto nel nulla. Vittima innocente, pone seri interrogativi a quanti, devoti e fedeli, entrano in Santuario per pregare. Un luogo dal quale chi passa deve solo raccogliere e portare con sé sentimenti di pace ed il proposito di un sincero cambiamento di vita. E ricordarsi che la fede non si concilia con la ‘ndrangheta, che nessun motivo può giustificare la violenza e l’odio, ma è fermento di vita nuova, di un’umanità redenta dal sangue di Cristo. Il Dio nel quale crediamo ci viene manifestato attraverso un Crocifisso ed una croce che qui a Polsi gode di una devozione radicata e forte. Possa essere la Croce di Polsi simbolo di un ritorno alla vera fede per quanti vengono al santuario.
Ci tengo a precisare ancora una volta che il Santuario della Madonna della Montagna di Polsi appartiene solo al popolo fedele e alla devozione della gente di questa martoriata terra. Nessun altro se ne può appropriare in alcun modo. Ai fedeli devoti di questo Santuario dico: Non lasciamoci rubare questo inestimabile tesoro!
Il sacrificio di don Giovinazzo tocca tutto il clero diocesano. Ci consegna un’eredità difficile ed importante: da una parte l’impegno concreto, coraggioso e profetico da portare avanti senza riserve contro ogni forma di associazione mafiosa, dall’altra l’indicazione di un percorso pastorale di formazione delle coscienze e di annuncio della gioia del Vangelo della riconciliazione e del perdono come percorso ineludibile di rinascita del nostro territorio.
Dal santuario di Polsi deve partire un messaggio importante per la nostra chiesa locale: l’urgenza dell’annuncio del Vangelo della gioia che suscita la ricerca di nuovi stili di vita, che mettono al centro Gesù, “la pietra che i costruttori hanno scartato diventata la pietra d’angolo”. Il Signore che ha pagato con la vita la violenza e l’ingiusta condanna ci apre alla gioia del perdono, della risurrezione e della vita nuova. 
Alla Madonna di Polsi, che una lunga tradizione di devozione e di fede ci consegna come Madre del Divin Pastore, affidiamo il futuro delle nostre famiglie, le attese e le speranze dei giovani, il grido di aiuto dei malati e degli anziani. A Lei chiediamo di renderci sempre più vigilanti e impegnati nella costruzione di una società più giusta e solidale.


Fonte: Calabria Ecclesia

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