Avvenire di Calabria

Il 18 dicembre è il giorno in cui si riflette sulla condizione dei migranti di tutto il mondo. Un tempo di analisi anche sulla capacità di accoglienza e di inclusione a Reggio Calabria

Migranti, accoglienza ad ostacoli: il clima a Reggio Calabria

Ne abbiamo parlato con padre Gabriele Bentoglio (direttore ufficio diocesano Migrantes), Bruna Mangiola (responsabile del Coordinamento diocesano Sbarchi) e Nico Chirico (presidente dell'Azione cattolica diocesana di Reggio - Bova)

di Federico Minniti

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Il 18 dicembre è il giorno in cui si riflette sulla condizione dei migranti di tutto il mondo. Un tempo di analisi anche sulla capacità di accoglienza e di inclusione a Reggio Calabria.

Ne abbiamo parlato con padre Gabriele Bentoglio (direttore ufficio diocesano Migrantes), Bruna Mangiola (responsabile del Coordinamento diocesano Sbarchi) e Nico Chirico (presidente dell'Azione cattolica diocesana di Reggio - Bova).

Oggi è la Giornata internazionale dei migranti

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 18 Dicembre Giornata Mondiale dei Migranti, con Risoluzione 55/93. La scelta della giornata fa riferimento al 18 dicembre 1990, giorno in cui l’Assemblea Generale ha approvato la Convenzione Internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, documento entrato in vigore nel 2003 ma non ancora ratificato dall’Italia, nel quale si trova la definizione internazionale di “lavoratore migrante” e si stabiliscono standard internazionali per il trattamento dei migranti e delle loro famiglie.


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Lo scopo è quello di prevenire lo sfruttamento e mettere fine ai movimenti clandestini o illegali, stabilendo le condizioni minime di riconoscimento e accettazione del migrante a livello universale.

L'accoglienza dei migranti a Reggio Calabria, cosa accade dopo?

Padre Gabriele Bentoglio è stato preside dello Scalabrini International Migration Institute (SIMI) e sottosegretario del Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti. Attualmente è parroco a Reggio Calabria della chiesa dei Santi Filippo e Giacomo in Sant’Agostino e direttore del Centro diocesano Migrantes. Lo abbiamo intervistato in occasione della Giornata internazionale dei migranti in programma per domani (18 dicembre).

🎧 Ascolta il podcast 👇

Accoglienza, che stagione stiamo vivendo?

Dando uno sguardo generale al nostro Paese, credo che questo sia il tempo in cui ci stiamo rendendo conto di vivere in una società multiculturale, dove continua l’accoglienza dei nuovi arrivati, ma è sempre più urgente mettere in piedi programmi concreti di integrazione e di reciproca valorizzazione. Teniamo presente che oggi i cittadini stranieri residenti in Italia hanno superato i 5 milioni, abitano soprattutto al Nord Italia, sono il 59%, qui da noi al Sud si stima una presenza che non raggiunge il 12%.

Per me la cosa preoccupante è che si calcolano un milione e seicentomila gli stranieri residenti che vivono in uno stato di povertà assoluta, che corrispondono circa a 1/3 delle famiglie povere presenti in Italia. Per questo è indispensabile lavorare oggi verso l’integrazione.

Credo che in parte questo lo stiamo già facendo, specialmente lasciando da parte gli stereotipi perché autentica accoglienza e integrazione si possono fare solo se si conoscono i tanti aspetti dell’immigrazione, cominciando dalle ragioni che costringono le persone a lasciare la loro casa e il loro paese.


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Come il valore della testimonianza può sovvertire un’apparente tendenza indifferenza verso l’emergenza umanitaria degli sbarchi?

Io credo che il bene che si fa quando tendiamo la mano ai migranti che ce la fanno a sbarcare sulle nostre coste, questo bene non cerca visibilità e pubblicità, il bene si diffonde da sé e proprio la dedizione silenziosa di tante volontarie e tanti volontari secondo me è il miglior antidoto contro l’indifferenza, anche se il bene non sempre ha posto sulle prime pagine dei giornali.

E poi, per non cadere nell’indifferenza, dobbiamo curare la memoria. È indispensabile ricordare che le guerre, le violenze e le persecuzioni sono le cause principali della fuga forzata di centinaia di migliaia di persone dalla loro terra d’origine. Teniamo anche presente che negli ultimi vent’anni ci sono stati molti cambiamenti politici e quasi di pari passo si sono diffusi tanti movimenti religiosi estremisti e questo ha creato delle criticità nei rapporti tra i fedeli di diverse confessioni religiose, rendendo più difficile il valore della testimonianza di altissimi valori come l’accoglienza, la solidarietà e la cura delle persone più deboli e vulnerabili.

Secondo lei in che modo deve cambiare la “grammatica dell’accoglienza”?

In che modo educare a un linguaggio diverso può allontanare il rischio della deriva razzista? A me pare che nel dibattito pubblico continui anche oggi a dominare eccessivamente un linguaggio basato sul binomio immigrazione-sicurezza. E questo rischia di alimentare un clima di paura e di intolleranza. Anche qui è importante prima di tutto la correttezza dell’informazione.

Ora i dati Istat del 2022 dicono che nelle carceri italiane ci sono circa 18.000 detenuti stranieri su 56.000. Questo vuol dire che gli stranieri in carcere sono circa il 30% di tutta la popolazione carceraria e quindi gli stranieri sono solo una parte della questione.

Ma poi mi sembra che negli ultimi 10 anni dopo la tragedia di Lampedusa del 2013 è cambiato molto nel racconto dei fatti migratori. Se mettiamo a confronto la vicenda di Lampedusa con la tragedia recente di steccato di Cutro, si vede bene che c’è stato un calo di sensibilità e d’altra parte un aumento di indifferenza.

Infine, come la Chiesa Reggina sta rileggendo il fenomeno migratorio e le risposte necessarie da fornire a chi arriva sul nostro territorio?

La Chiesa reggina, secondo me, si è sempre impegnata a garantire l’incolumità fisica di chi arriva provvedendo ad una prima dignitosa accoglienza. Certo, con le sue limitate risorse, però, potendo contare comunque su una generosa collaborazione e buona sensibilità dei cittadini.

Ma da tempo la nostra Chiesa sta anche cercando vie, progetti e strategie sempre nuove per favorire percorsi di integrazione che siano positivi e fruttuosi sia per gli immigrati che per i residenti. Devo anche dire però, che troppo spesso gli stranieri che arrivano sul nostro territorio calabrese e in tutta Italia e vogliono integrarsi qui sono ancora costretti a un vero e proprio percorso a ostacoli, specialmente nella burocrazia.

E spesso subiscono anche fenomeni di discriminazione, penso, per esempio, agli ostacoli nell’accesso alle professioni, alla casa, allo studio, all’assistenza sociale.

Burocrazia e clima ostile, la riflessione del Coordinamento diocesano sbarchi

Chiunque, negli ultimi anni, si sia imbattuto nell’affrontare il tema dell’accoglienza delle persone giunte sulle coste di Reggio Calabria, ha incrociato lo sguardo di Bruna Mangiola, la responsabile del Coordinamento diocesano sbarchi.

Con lei abbiamo preso in esame “l’oggi” dell’accoglienza «nonostante il clima politico nazionale abbia ristretto la complicità e la volontà di accoglienza sul territorio reggino, la stessa è continuata, anzi si è accentuata». Un’attenzione che si sposta, giorno dopo giorno, dalla banchina del Porto ai crocicchi della città dove tanti nuovi arrivati finiscono: «Riescono a rilassarsi solamente quando facciamo una carezza o gli diamo la mano salutandoli con un “benvenuti” o quando ci avviciniamo col sorriso sulle labbra, cercando di intonare un canto» aggiunge Mangiola che, dolcemente, definisce i volontari come «i giullari di Dio quando arrivano dei bambini».

Un impegno in prima linea reso possibile anche col «protocollo tra Caritas, Gom e Asp che ha dato la possibilità ai nostri medici volontari di visitare i migranti direttamente al porto e intervenire anche sui nostri amici che vivono in strada, nella speranza che nessuno venga escluso mai».

«Noi ci proviamo e sicuramente non saranno gli ostacoli che inevitabilmente incontreremo a fermare il piccolo esercito di volontari che dal 2013 ha deciso di stare accanto alle persone più fragili» stigmatizza Mangiola. Tornando sugli “ostacoli”, Mangiola sottolinea come «purtroppo è cambiato l’atteggiamento delle autorità preposte nei confronti del Coordinamento Sbarchi. Quell’intesa e quella collaborazione costruita negli anni precedenti si è interrotta. Abbiamo dovuto faticare per non essere solo distributori di alimenti, come in una catena di montaggio. Probabilmente dipende dal fatto che non si fanno più incontri in Prefettura prima dell’arrivo delle navi. Incontro che serviva a stabilire i ruoli e i compiti. Questo ci porta ad arrivare al porto impreparati».

Tornando alla vita in banchina, la responsabile del Coordinamento diocesano sbarchi evidenzia come «dopo qualche anno di fermo al Porto di Reggio Calabria, abbiamo assistito già dall’anno scorso a parecchi sbarchi, addirittura nei mesi di luglio e agosto anche due sbarchi a settimana. L’impegno dei volontari del Coordinamento diocesano sbarchi Il piccolo esercito del Coordinamento è stato sempre pronto a rispondere alle domande delle persone che sono arrivati e noi ci siamo sempre prodigati ad aiutarli. In base ai loro bisogni, soprattutto attenti ai bisogni dei tanti bambini che con i loro sorrisi hanno conquistato il nostro cuore. Quindi accoglienza umana sempre. E sempre sorridenti».


PER APPROFONDIRE: Migranti, riprendono gli sbarchi a Roccella Jonica: soccorsi in cento


In conclusione della nostra chiacchierata abbiamo chiesto a Bruna Mangiola un ricordo in particolare dell’ultimo anno: «Tante sono le storie che sono rimaste impresse nei nostri occhi e nei nostri cuori. Quest’anno abbiamo assistito allo sbarco di tante donne incinta e di bambini molto piccoli, arrivati anche da soli, senza genitori. Il nostro contributo è stato quello di accoglierli con amore e Farli sentire in terra amica e fraterna. La storia che ci ha colpito di più è quella di un bambino che è arrivato da solo perché la mamma aveva avuto un grave malore ed era stata fatta sbarcare e ricoverata in Sicilia. Quindi lui è arrivato al porto senza nessuno. Per fortuna i servizi sociali prontamente si sono attivati, trovando una famiglia che lo ha accolto in affido temporaneo. Quel bimbo che era arrivato con gli occhi tristi grazie alla famiglia e all’aiuto dei volontari, si è riuscito a farlo giocare e sorridere».

Proprio mentre Bruna ci racconta questa storia, il suo sguardo è attraversato anche da un altro ricordo: «Ci ha colpito anche il volto di una madre che con dignità e tanta serenità ha affrontato un lungo e tortuoso percorso per arrivare in Europa con la sua famiglia, nella speranza di curare il suo figlioletto, ancora lattante, ma affetto da una malattia rara e invalidante».

Storie di vita, quelle raccontate da Bruna Mangiola, che vanno oltre la logica dei numeri che è fin troppo usata per tratteggiare il fenomeno migratorio.

La buona prassi: l'Azione Cattolica in banchina

L’Azione cattolica diocesana di Reggio Calabria - Bova ha deciso di mettersi al servizio di quanti sbarcano sulle coste reggine. Ne abbiamo parlato col presidente diocesano, Nico Chirico.

Perché avete deciso di avviare un’attività formativa legata agli sbarchi?

Sin dai primi sbarchi alcuni nostri soci hanno dato una mano sulla banchina del Porto e hanno portato all’interno dell’AC l’eco di un servizio che distingue in positivo la nostra diocesi da tutte le altre d’Italia. Nel tempo poi, tante volte, gli amici del Coordinamento ecclesiale sbarchi hanno raccontato la loro esperienza nelle nostre associazioni parrocchiali o nei momenti associativi diocesani.

Così ad inizio anno, in attesa di riprendere il servizio presso la Casa Circondariale di Arghillà, abbiamo contattato Bruna Mangiola per immaginare con lei un modo più stabile e strutturato per dare una mano. Ed è iniziata a giugno questa bella avventura dapprima solo con il centro diocesano, adesso con tutti i soci. Tanto da iniziare, in queste settimane, una formazione per tutti i nostri soci che vogliono prestare mani, sorrisi e cuore sulla banchina del porto, così come in carcere.

Che tipo di riscontro state ricevendo dai vostri soci rispetto alle attività legate agli sbarchi?

La risposta come sempre è stata eccezionale. Ogni volta che il Centro diocesano “chiama”, le parrocchie rispondono con entusiasmo! Come dicevo, ci siamo ritagliati uno spazio di formazione nel quale fornire ai soci gli strumenti per affrontare consapevolmente il servizio.Una serie di incontri di taglio laboratoriale per ragionare sui bisogni, sull’ascolto, sulla comunicazione e anche per ascoltare le voci degli operatori e dei professionisti che prestano la loro opera nelle tante strutture di accoglienza per i fratelli migranti e presso le nostre Case circondariali o presso gli uffici giudiziari. Il nostro percorso sta coinvolgendo più di 50 soci e si concluderà con un appuntamento aperto a tutta l’associazione, ma anche ai curiosi, sulla dottrina sociale che terrà don Sergio Massironi il 9 gennaio.

Con don Sergio, teologo presso il dicastero vaticano per il servizio umano integrale, ragioneremo del valore vocazionale e sociale del nostro servizio.

C’è qualche episodio in particolare che volete condividere con i nostri lettori?

Beh, ci sono tanti episodi, tanti volti, tante storie che i giovani e gli adulti di Ac hanno incrociato al Porto in attimi fugaci o in momenti più prolungati e tutti hanno lasciato il segno della fratellanza. Lì, su quel marciapiede battuto dal sole e dal vento caldo dell’estate che profuma di salsedine e di sudore, porgiamo una merendina e un sorriso, laviamo piedi, accarezziamo mani, scambiamo qualche parola in lingue che appena conosciamo e torniamo a casa migliori di come siamo arrivati.

Raccontare di questi incontri richiederebbe un tempo lunghissimo. Ma una storia in particolar ha toccato il cuore dei presenti. Era l’undici di luglio e la nave Diciotti durante un trasferimento da Lampedusa a Reggio Calabria ha intercettato un barchino in difficoltà. Purtroppo non tutti i migranti sono riusciti a salvarsi. In particolare 4 bambini. Tre inghiottiti dalle onde, uno recuperato.

Arrivati al porto si è subito capito che era successo qualcosa di grave, perché la scientifica era lì ad attendere lo sbarco. È scesa dalla nave una piccola bara di zinco. Nessuno riusciva ad andare avanti, Bruna con la sua carica di generosità, ha aiutato tutti a superare il momento di sgomento, richiamando alla responsabilità di essere presenza amica per i sopravvissuti.

A distanza di diversi mesi abbiamo appurato che a causa del Decreto Cutro e della stretta sulle procedure, quel corpicino che avevamo visto scendere dalla nave era ancora in quella bara di zinco nell’obitorio del Gom, non si capiva di chi fosse la competenza.

Ci è parso inaccettabile e con la presidenza diocesana ci siamo attivati per sbloccare la situazione. Abbiamo conosciuto la mamma la mattina della sepoltura e quell’esperienza ci legherà per sempre.

Secondo lei la cittadinanza è sensibilizzata alla tematica dell’accoglienza?

Il tema dell’accoglienza ci pone di fronte ad una più ampia sfida educativa: in un tempo in cui le relazioni sono sempre più immateriali e selettive, l’incontro con l’altro diventa spesso meno prioritario, quasi alternativo. Se questo lo riportiamo sul piano della cittadinanza, a volte, questo si traduce nella strumentalizzazione di tratti identitari che tendono a creare comunità chiuse, ad escludere l’altro, il diverso, il forestiero.

Proprio per questo come Ac non possiamo che rinnovare con maggiore impegno la sfida di educare alla bellezza dell’incontro. Il nostro percorso associativo si basa su questo: l’incontro nel gruppo, l’incontro tra generazioni, l’incontro con la comunità più ampia, ecclesiale e cittadina.

Fortunatamente abitiamo una terra ricca di persone e gruppi che testimoniano con determinazione la gioia dell’accoglienza, il desiderio di andare incontro a chi, nella sua alterità, è ricchezza, è occasione di condivisione, è fede che si fa vita.

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