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Nuove generazioni di armamenti intelligenti e «sporchi» sollevano enormi interrogativi di natura etica, molto più profondi di quelli già insiti nel concetto stesso di arma
Le guerre in Ucraina e nella Striscia di Gaza hanno fatto emergere, con maggiore intensità rispetto al passato, il dibattito pubblico sulle cosiddette armi intelligenti e sulle armi «sporche». Abbiamo ormai familiarità con droni e veicoli senza equipaggio, pilotabili da remoto o addirittura capaci di identificare e colpire autonomamente gli obiettivi, senza intervento umano.
Recentemente, i media russi hanno illustrato un innovativo e inquietante sistema d’arma: il Poseidon. Si tratta di un siluro nucleare progettato per navigare in autonomia per migliaia di chilometri, sfruttando algoritmi di intelligenza artificiale, e colpire le coste nemiche. Il Poseidon non è solo un esempio di arma intelligente, ma rientra anche nella categoria delle cosiddette armi «sporche», quelle cioè progettate non solo per provocare distruzione immediata, ma anche per generare effetti collaterali devastanti.
Nel caso specifico del Poseidon, l’obiettivo secondario è una massiccia contaminazione radioattiva, che renderebbe inabitabile per lunghissimi periodi qualsiasi area colpita. Queste nuove generazioni di armamenti intelligenti e «sporchi» sollevano enormi interrogativi di natura etica, molto più profondi di quelli già insiti nel concetto stesso di arma, ossia di strumento destinato a infliggere morte e distruzione. Affidando alle macchine la decisione di uccidere, si rinuncia definitivamente a qualsiasi possibilità di controllo e giudizio morale sulle azioni compiute in guerra. Un drone autonomo potrebbe scegliere, ad esempio, di attaccare un ospedale o una scuola, massimizzando così i danni e le perdite umane per indebolire il nemico.
La guerra, già di per sé terrificante, è stata nel tempo regolata da norme internazionali e convenzioni, nate proprio dal riconoscimento della necessità di conservare un minimo di etica e umanità persino nei conflitti. Tuttavia, come dimostrano drammaticamente i crimini e le violenze registrati sul territorio ucraino, queste regole spesso vengono ignorate. Eppure, affidare la distruzione a sistemi artificiali privi di coscienza rappresenta un ulteriore e pericoloso passo verso la totale disumanizzazione dei conflitti.
In un futuro non troppo lontano, le guerre potrebbero essere combattute prevalentemente da robot e sistemi intelligenti privi di scrupoli morali, capaci di uccidere civili, bambini, e distruggere infrastrutture essenziali alla sopravvivenza della popolazione. L’essere umano rischia di delegare completamente alla macchina il potere di distruggere l’umanità stessa, forse alleviando così il proprio senso di colpa. Questo scenario è assolutamente inaccettabile, perché apre le porte a un conflitto senza regole, senza umanità e senza limite.
Le armi «sporche» rappresentano l’altra faccia di questo inquietante scenario: strumenti destinati non solo alla sconfitta del nemico, ma al suo annientamento totale, intenzionalmente progettati per causare danni collaterali peggiori degli effetti immediati delle esplosioni. A tutti gli effetti, sono armi di genocidio, concepite per devastare intere popolazioni e territori. Ancora una volta, l’umanità si trova a fronteggiare una tecnologia dalle immense potenzialità, e la sfida attuale è governarla responsabilmente per migliorare la qualità della vita globale, non per accelerarne la distruzione.
La corsa agli armamenti sempre più sofisticati e privi di vincoli etici rischia di compromettere definitivamente questa possibilità. Papa Francesco ha profeticamente definito la proliferazione di queste armi come una «zizzania planetaria», affermando che l’unica strada per superare tale crisi è riscoprire i valori della fratellanza universale, abbandonando nazionalismi ciechi, isolazionismo ed egoismo politico.
PER APPROFONDIRE: Il ritratto di monsignor Lanza firmato da Farias: In actione contemplativus (Contemplativo nell’azione)
Le parole del Papa ci riportano con forza al messaggio pronunciato da papa Paolo VI nel lontano 1964 a Bombay, quando auspicò che le nazioni abbandonassero la corsa agli armamenti, destinando risorse ed energie allo sviluppo dei paesi più bisognosi. Dopo oltre mezzo secolo, l’invito di papa Paolo VI rimane più attuale che mai, e l’umanità deve coglierlo urgentemente per evitare che la tecnologia diventi lo strumento della propria autodistruzione.
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