Avvenire di Calabria

Fine dell'esperienza da primula rossa dopo appena sei mesi

Arrestato il latitante Antonino Pesce reggente del clan

Federico Minniti

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

È durata poco più che sei mesi la latitanza di Antonino Pesce ricercato e resosi irreperibile al mandato di cattura spiccato a suo carico dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. «Vi è arrivata la chiamata?» ha interrogato il latitante ai carabinieri che gli hanno stretto le manette ai polsi. L'aria pesante di questi giorni a Gioia Tauro l'avrebbe convinto di un "tradimento" tra le cosche di 'ndrangheta. I Pesce sono storici alleati dei Bellocco e Molé, con quest'ultimi da qualche anno in contrasto con i Piromalli che nell'area rappresentano la forza maggioritaria con i Crea di Taurianova e gli Alvaro di Sinopoli. La "pax" mafiosa, ovviamente, ha silenziato le pistole, ma non mancano le "tragedie". Ma le teorie complottiste da 'ndranghetista navigato di Pesce questa volta non erano azzeccate. Infatti, la sua cattura nasce da un'intesa attività di controllo del territorio del comando locale dei Carabinieri che avevano visto strani movimenti in quella villetta a mare. Reggente dell'omonimo clan di Rosarno, Pesce seppur molto giovane rappresenta uno degli uomini di punta del narcotraffico internazionale come documentato dall'ordinanza dell'operazione "Vulcano". Furono le Fiamme Gialle a sgominare il cartello della Piana di Gioia Tauro in joint venture con i clan di camorra con un maxi-sequestro di ottanta chili di droga purissima. Nino Pesce sarebbe un vero e proprio importatore di cocaina e la sua latitanza aveva deciso di trascorrerla proprio a pochi chilometri dal Porto di Gioia Tauro, nella frazione Marina della cittadina della tirrenica reggina. Arrestato anche il suo fiancheggiatore Tonino Belcastro, soggetto noto alle forze dell'ordine per fatti di mafia. Nell'appartamento in riva al mare c'erano anche la compagna di Antonino Pesce e i suoi due figli di tre anni e sei mesi. Il latitante non ha opposto resistenza, seppure avrebbe provato ad accultare un'arma, una pistola semiautomatica in ottimo stato e perfettamente efficiente, completa di caricatore e relativo munizionamento. Dopo gli accertamenti i carabinieri della compagnia di Gioia Tauro hanno scoperto che l'arma fosse il provento di furto perpetrato in Civitanova Marche nel 2015. In occasione dell'operazione "Vulcano" in cui Pesce riuscì a darsi alla macchia fu arrestato anche Michele Zito che secondo gli inquirenti sarebbe stato destinatario di un progetto di morte orchestrato proprio dai Piromalli. "Tragedie", business e cocaina all'ombra del Porto di Gioia Tauro. Pubblicato su Avvenire

Articoli Correlati