Avvenire di Calabria

Sull'argomento, voce anche ai sindaci: ecco aspettative e analisi dei primi cittadini Roy Biasi (Taurianova) e Gianluca Gaetano (San Ferdinando)

Autonomia differenziata, «È una questione sociale»

Con il professore Giorgio Marcello, ricercatore e docente di sociologia presso l’Università della Calabria, approfondiamo uno dei temi più attuali e dibattuti del panorama politico

di Davide Imeneo e Francesco Chindemi

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

Il documento diffuso due settimane fa dai vescovi calabresi ha dato un nuovo impulso al dibattito politico in corso sull’autonomia differenziata non solo in ambito locale, ma anche nazionale.

Mente in parlamento procede spedito l’iter per l’approvazione definitiva, i possibili effetti della riforma del titolo V della Costituzione in particolare sull’economia e i servizi delle aree più povere del Paese, come le regioni del Mezzogiorno e la Calabria, preoccupano. Ne abbiamo parlato con il ricercatore e docente di sociologia all’Università della Calabria, Giorgio Marcello che, sull'ultimo numero del nostro settimanale, in edicola domenica scorsa con il quotidiano nazionale Avvenire, ha approfondito il tema evidenziandone le sfaccettature sociali.


Adesso siamo anche su WhatsApp, non perdere i nostri aggiornamenti: VAI AL CANALE


Sul tema abbiamo raccolto anche l’autorevole opinione di alcuni sindaci del territorio calabrese ed esponenti di primo piano dei rispettivi partiti in ambito regionale: Roy Biasi (Lega) e Gianluca Gaetano (Pd). Offrono una prospettiva interessante sull’autonomia differenzia che parte proprio dalle esigenze dei territori.

Autonomia differenziata, Marcello (Unical): «Attenti alle divisioni»

intervista a cura di Davide Imeneo

Prosegue spedito l’iter parlamentare che porterà all’autonomia differenziata. Con il professore Giorgio Marcello, ricercatore e docente di sociologia presso l’Università della Calabria, approfondiamo uno dei temi più attuali e dibattuti del panorama politico, cercando di capire quali saranno in particolare gli effetti della riforma anche dal punto di vista sociale.

Quali sfide giuridiche e costituzionali solleva la proposta di legge sull’autonomia differenziata?

Il progetto di autonomia differenziata è una conseguenza della riforma del titolo quinto della Costituzione (2001), che ha notevolmente ampliato le competenze e i poteri delle Regioni a statuto ordinario. Per effetto di questa riforma, l’articolo 116 prevede che esse possano chiedere sia ulteriori forme di autonomia nell’ambito di un vasto elenco di materie, sia le risorse finanziarie necessarie per intervenire in questi ambiti. La proposta di legge in discussione pone problemi sia sul piano della democrazia sostanziale, perché marginalizza il ruolo delle Camere, sia sul piano della giustizia sostanziale, perché sembra non tenere conto del fatto che in molti territori del Paese non è garantito alle persone l’accesso alle più importanti risorse di cittadinanza.

In che modo l’autonomia differenziata potrebbe cambiare il rapporto tra lo Stato e le Regioni?

Come è stato fatto autorevolmente notare, le Regioni che chiederanno l’autonomia differenziata somiglieranno ad altrettante regioni-Stato, con poteri estesissimi in materie fondamentali, dalla scuola alla sanità, dalle infrastrutture all’ambiente, alle politiche industriali e in molti altri ambiti. Tutto ciò sancirebbe verosimilmente la fine della scuola pubblica italiana, del Servizio sanitario nazionale, del sistema unitario delle infrastrutture e dell’energia.


I NOSTRI APPROFONDIMENTI: Stai leggendo un contenuto premium creato grazie al sostegno dei nostri abbonati. Scopri anche tu come sostenerci.


Il tutto in un quadro di estrema confusione, dato che le competenze richieste dalle Regioni promotrici della riforma sarebbero comunque differenziate fra loro. L’Italia diverrebbe un paese ancora più eterogeneo e frammentato, nel quale sarebbe impossibile condurre fondamentali politiche nazionali, anche nel solco di quelle europee, e nel quale le imprese andrebbero incontro ad inevitabili difficoltà per via della prevedibile frammentazione legislativa e operativa.

È preoccupato che l’autonomia differenziata possa accentuare le disparità già esistenti tra le regioni più ricche e quelle meno sviluppate?

È un rischio concreto. Anche perché le disuguaglianze nel nostro Paese hanno una natura anche territoriale alimentando situazioni gravi di divario civile, per cui il contenuto effettivo dei diritti sociali cambia a seconda dei luoghi. L’autonomia differenziata potrebbe rendere questo divario ancora più profondo.

Come vede l’impatto dell’autonomia differenziata sui servizi al cittadino (sanità, istruzione, trasporti)?

In Italia il divario civile è invece più accentuato di quello economico, ed è anche più preoccupante, poiché indebolisce il senso di appartenenza ad un’unica comunità nazionale. Il divario è particolarmente evidente non solo rispetto alla sanità, ma anche all’istruzione, ai servizi sociali e alla questione ambientale, ovvero rispetto alle condizioni che rappresentano la necessaria premessa di uno sviluppo autenticamente umano. Si tratta proprio di alcune delle materie in ordine alle quali le regioni chiedono più poteri decisionali e risorse, con inevitabili ripercussioni sui contesti più fragili.

Quali consigli darebbe al legislatore per garantire una crescita armonica di tutta la Nazione, senza lasciare nessuno indietro?

La realizzazione della riforma è subordinata alla determinazione dei livelli essenziali di prestazione. Però la riforma Calderoli nel concreto non stanzia neanche un euro per coprire i divari: si impegna ad identificare i Lep ma non a finanziarli.


PER APPROFONDIRE: Autonomia differenziata, il documento dei vescovi calabresi: «È la secessione dei ricchi»


Cosa suggerire al legislatore? Un paio di cose. La prima: guardando le cose da sud, la vera priorità sembra essere non tanto quella dei Lep, ma quella di dotare i territori delle infrastrutture sociali necessarie per programmare, progettare, gestire, rendicontare e valutare gli interventi. La seconda è quella di tenere conto di quanto i vescovi calabresi hanno evidenziato nel loro documento, ovvero del fatto che il Paese avrà un futuro solo se tutti insieme sapremo tessere e ritessere intenzionalmente legami di solidarietà, a tutti i livelli.

Sindaci/1. Roy Biasi (Taurianova): «Dalla sanità alle eccellenze del territorio. Per il sud, occasione per far vedere quanto valiamo»

interviste a cura di Francesco Chindemi

«Noi sindaci, essendo i più vicini ai problemi e alle occasioni di un territorio, lo sappiamo meglio degli altri che, affinché ci sia una vera autonomia, deve esserci una assoluta padronanza sui temi e sulle risorse che servono. Dunque, per un sindaco il concetto di autonomia è uno stimolo a migliorare ». Roy Biasi, sindaco di Taurianova e responsabile enti locali della Lega in Calabria, guarda con particolare interesse all’autonomia differenziata.

Preoccupato dalla possibilità che possano aumentare le disparità tra territori ricchi e poveri?

Purtroppo, l’attesa riforma costituzionale risente molto dello storico clima di scontro che spesso ha paralizzato il Paese. Le rassicurazioni del ministro Calderoli e dal vicepremier Salvini e confermata nella produzione legislativa fin qui venuta, sono per me una garanzia. Ovvero che, soprattutto sulle materie nevralgiche che riguardano i diritti sociali e la formazione, ci sia la definizione e il finanziamento preventivo dei Livelli essenziali delle prestazioni che lo Stato garantisce. Non credo proprio che siamo in presenza di un governo, e di uno Stato, diventati di colpo masochisti, nemici di una parte consistente del Paese al punto da affamarla. Ci sono invece processi che possono essere attivati proprio per arrestare la disparità in corso, con lo Stato che tutela le Regioni deboli in base ad un nuovo patto che sta a noi chiedere, certamente non con le proteste di piazza alla De Luca.

In cosa consisterebbe questo “nuovo” patto?

Il nuovo patto deve essere materia per materia, penso alla sanità ad esempio, che può essere rigenerata al Sud, interrompendo i viaggi della speranza, solo se vi sono amministrazioni che spendono meglio le risorse e disinnescano il meccanismo della spesa storica. Essere autonomi non significa essere contro le eccellenze, che pure al Sud ci sono, ma anzi farle interagire in una logica di sistema nazionale che parte dai dati sulla mortalità e sull’impatto che le diverse patologie hanno sui territori. Se il Sud è la zona del Paese dove il clima e la natura consentirebbero standard di vita elevati, non vedo perché non dovremmo specializzarci in una sanità che accentua la prevenzione e migliora i suoi centri di cura, grazie all’autonomia.

Quale può essere o deve essere il ruolo dei sindaci nel processo di attuazione della riforma?

L’autonomia è prevista dalla Costituzione, non è contro. È fondamentale che i sindaci partecipino attivamente alla scelta delle materie gestite dalle Regioni, dato che le disparità territoriali esistono anche all’interno di una stessa regione. Immagino, quindi, che il clima di riforma favorisca l’istituzione di Aree vaste, similmente a quanto già avviene per le politiche sociali, attraverso gli Ambiti territoriali. Taurianova ne guida proprio uno. La nostra esperienza dimostra che la collaborazione supera le differenze. Un sindaco autonomo può e deve pensare al benessere di un’area più vasta, coniugando pianificazione e solidarietà.

Cosa pensa della forte presa di posizione dei vescovi calabresi?

Ho letto il documento della Cec. Condivido l’invito dei vescovi all’accompagnamento a favore delle parti deboli del Paese. Questi spunti di riflessione so che sono tenuti in alta considerazione dalla politica romana, dove pure esiste la preoccupazione che i centri nevralgici di ogni sistema istituzionale statale possano perdere potere, se dopo tanti anni si applica l’autonomia regionale prevista dalla Costituzione. Penso che tutte le perplessità e le proposte, quando sono offerte senza pregiudizi ideologici o partitici, vadano accolte. Sono certo che il Governo democraticamente saprà dare delle risposte, anche alla Chiesa, perché la solidarietà sta a cuore a tutti.

Sindaci/2. Luca Gaetano: «Chi già arranca rischia di restare ancora più indietro. I veri benefici li avrà il nord»

«Da sindaco del sud posso dire che le aspettative sull’autonomia differenziata non sono delle migliori. Credo fondatamente che alcune regioni del meridione non potranno assorbire il colpo di una ulteriore competizione con le sorelle del nord, e questo non potrà che acuire inefficienze e ritardi». Ad affermarlo è Gianluca Gaetano, sindaco della “città del porto” San Ferdinando. Per l’amministratore pianigiano che è anche componente dell’Assemblea Regionale del Pd e dirigente di Energia Democratica «“Lasciar andare” i più forti, anziché sforzarsi di elevare tutto il sistema ai massimi standard, prefigura scenari decisamente preoccupanti».

Secondo lei, porterà più vantaggi o svantaggi per i comuni e i territori?

Questa riforma apporterà innegabili vantaggi ai territori del nuovo “Grande Nord”, mentre introdurrà svantaggi persistenti a chi, partendo da posizioni di sfavore, sarà condannato a rimanere sotto soglia rispetto alla spesa storica che, di fatto, costituirà un limite allo sviluppo. I territori, inoltre, saranno soggetti a una legislazione locale che non terrà conto del quadro d’insieme nazionale e ciò può divenire estremamente rischioso, esponendo le comunità locali a decisioni di campanile, non cooperative o non incluse in un quadro organico di strategia nazionale.

La preoccupano eventuali nuove disparità tra territori ricchi e territori poveri?

Rinnegando il concetto di Stato nazionale nei suoi principi di fondo, assisteremo a un’Italia a macchia di leopardo nella quale i già esistenti gap diverranno oggettivamente incolmabili. Se l’obiettivo delle politiche pubbliche non sarà più l’armonizzazione ma la legittimazione delle disparità e delle divisioni, è evidente che tali disparità verranno istituzionalizzate e “congelate”. La diversa velocità di crescita tra regioni “A” e regioni “B”, poi, farà il resto, incrementando le distanze e i divari nel sistema.

Cosa pensa della forte presa di posizione dei vescovi calabresi?

Ho avuto modo di esprimere sentimenti di gratitudine ai vescovi che, preoccupati delle implicazioni sociali di una siffatta riforma, sono intervenuti a gamba tesa nel dibattito politico. È un bene che ciò sia accaduto e questo dovrebbe far riflettere i fautori della riforma.


Non perdere i nostri aggiornamenti, segui il nostro canale Telegram: VAI AL CANALE


I vescovi non possono essere liquidati con sufficienza come spesso accade a chi tenta di opporre argomentazioni contrarie al mainstream governativo e mi auguro che la voce delle Diocesi aiuti tutti a portare questo tema nel dibattito pubblico; è davvero incomprensibile come un tale epocale riforma non sia sulla bocca di tutti e non mobiliti le persone comuni a esprimersi, a farne un argomento di discussione e a pretendere di saperne di più.

Quale può essere o deve essere il ruolo dei sindaci nel processo di attuazione della riforma?

Premesso che i sindaci non sono stati coinvolti nella fase di interlocuzione preliminare che, oltretutto, ha privilegiato le Regioni Lombardia e Veneto, credo che la comunità dei sindaci – globalmente intesa – dovrebbe essere sempre una controparte dialettica del governo, soprattutto se si attuano riforme di questa portata. Questo aspetto tocca il tema più generale del coinvolgimento delle comunità locali nei processi decisionali che spesso tendono a ignorare il parere – anche solo consultivo – di tutti coloro che poi vivranno gli effetti delle scelte nelle loro vite e nella loro quotidianità. È un atteggiamento sprezzante questo, che mina le fondamenta della virtuosa convivenza civile.

Articoli Correlati