
Il segreto di Francesco. La riflessione dell’arcivescovo Morrone sul Papa venuto «dalla fine del mondo»
Un momento di intensa comunione ecclesiale ha riunito la comunità diocesana di Reggio Calabria –
«Saper essere pronti è una grande cosa! È una facoltà preziosa che implica fermezza, analisi, colpo d’occhio, decisione. Saper essere pronti è anche saper partire, è saper finire. Saper essere pronti è, in fondo, anche saper morire».
Giova prendere a prestito le parole dello scrittore Henri-Frédéric Amiel per inserire nella giusta cornice il periodo che è iniziato ieri. Dicembre, infatti, si apre con l’Avvento, un tempo liturgico forte che implica prontezza e attenzione ed è contrassegnato dalla lettura dei profeti. La loro voce è essenziale: rivela una presenza segreta e trascendente negli eventi che permette di andare oltre la mera fattualità, che in genere – osservava Pascal – riduce l’uomo «a non sapere chi ci ha messo in questo angolo dell’universo, che cosa siamo venuti a fare e che cosa diventeremo morendo».
È necessaria, quella presenza, specie in un’epoca costellata di nefandezze e crudeltà che se da un lato sembrano aver condotto ormai all’assuefazione, dall’altro suggeriscono di non abbassare la guardia. Tanti sono i segnali che quasi ti fanno restare sveglio anche di notte, tante sono le paure del mondo intorno a noi – e a volte, dentro di noi – che pullula di cattivi soggetti ben vestiti, senza cielo né terra. Si vive spesso da utenti della vita e non da viventi, senza sogni e senza mistero, senza accorgersi di nulla: di chi ci rivolge la parola, di centinaia di naufraghi a Lampedusa o del povero alla porta e senza vedere questo pianeta avvelenato, umiliato e la casa comune depredata da gente impossibile e da stili di vita insostenibili.
Il relativismo etico e l’individualismo sono diventati cultura di massa: la sovrabbondanza ha reso concretamente praticabile la radicale autonomia individuale, accentuata ulteriormente negli ultimi anni dai social media, fino al punto che anche i credenti in buona parte si mostrano convinti che in fondo una religione vale l’altra, che dogmi e dottrina devono cedere il passo al benessere individuale, spirituale o meno. «Dinanzi alla drammaticità di questa esperienza», scriveva già San Giovanni Paolo II nella Fides et ratio, «l’ottimismo razionalista che vedeva nella storia l’avanzata vittoriosa della ragione, fonte di felicità e di libertà, non ha resistito, al punto che una delle maggiori minacce, in questa fine di secolo, è la tentazione della disperazione». Ecco, allora, il bisogno di una luce che sappia sempre illuminare il cammino e di una voce che guidi i passi. Non si deve avere paura: occorre proporre di cercare e guardare il volto di Cristo anziché ripiegarsi sulla propria coscienza di sé. Serve l'attenzione vigile delle sentinelle, per accorgersi della sofferenza che preme, della mano tesa, degli occhi che cercano e delle lacrime silenziose che vi tremano. E dei mille doni che i giorni recano, delle forze di bontà e di bellezza all'opera in ciascuno, di quanto Dio vive in noi. Vale, più che mai, l’invito di Bertolt Brecht: «Sotto il familiare scopri l’insolito, sotto il quotidiano osserva l'inspiegabile. Che ogni cosa che diciamo abituale, possa inquietarti».
Un momento di intensa comunione ecclesiale ha riunito la comunità diocesana di Reggio Calabria –
L’arcivescovo della Diocesi di Reggio Calabria – Bova, monsignor Fortunato Morrone parteciperà alla celebrazione esequiale
L’arcivescovo di Reggio Calabria – Bova e presidente della Cec invita la comunità a unirsi nella preghiera ricordando la celebrazione in Cattedrale venerdì 25 aprile alle 18