Un ragazzo in terapia per liberarsi dal tunnel della ludopatia scrive ai suoi coetanei
Azzardo, «non potevo uscirne da solo»
Redazione Web
23 Febbraio 2017
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Pubblichiamo in forma anonima una testimonianza di un ragazzo del centro diurno riabilitativo del Cereso sulla cura delle ludopatie
Mi dicevano smetti di giocare, resti solo, fatti aiutare ed io mi intestardivo di più. Il buio mi aveva oscurato il cuore e accecato il cervello, ho smarrito la via, nessuna bussola che mi indicasse con l’ago puntato verso famiglia, amici, cura di me. Attendevo inerme il mese successivo per riscuotere la pensione e ricominciare a giocare. Che strano, cercavo affetto giocando “un gratta e vinci”, felicità mi dicevo, oggi penso che fosse solo euforia. Già, all’inizio è la vincita a ingannare, a dare quell’adrenalina e quel brivido che la vita, per motivi diversi mi aveva tolto. Ben presto l’adrenalina scompare e si insinua l’ansia, il bisogno compulsivo di recuperare le perdite, di risolvere i problemi, di far fronte ai debiti. Inizi a indebitarti con amici, parenti, banche, società finanziarie, ed in qualche caso – ma non è il mio – anche con gli strozzini. Ero libero di scegliere tra bene e male, scelsi il gioco e di conseguenza il male e ne divenni schiavo. Schiavo del “smetto quando voglio, ce la farò da solo, questa è l’ultima volta”. Alla fine diventa evidente che l’azzardo ha sempre meno a che fare con il gioco. Quest’ultimo è gioioso, ricreativo, simbolico, come una partita a carte tra amici o la sera di natale quando giochi a tombola; al contrario l’azzardo mi aveva reso schiavo del disagio e della sofferenza, aveva distrutto me e i miei affetti. Ho deciso di chiedere aiuto e mi sono rivolto al centro don Tonino Bello di Sambatello (Reggio Calabria), sono venuto qui, convinto di iniziare un percorso, inizialmente avevo dei dubbi, un po’ alla volta ho acquistato più fiducia frequentando il centro tutti i giorni, sì perché partecipare solo al gruppo di auto-aiuto con altri giocatori come me e il colloquio settimanale, non mi bastava, volevo di più, avevo bisogno di incontrare l’altro, quel prossimo che mi “facesse da specchio” per farmi vedere dov’ero, quanto e come ero diverso, per riconoscermi e ricordarmi che ero “persona”. Ho capito che la volontà era essenziale, ma i compagni di viaggio erano fondamentali. Quel buio che avevo nel cuore e nella mente, si sta schiarendo grazie alla luce che ricevo ogni giorno. Certo, sono in cammino, dentro un percorso, ma la verità è figlia del tempo, e la speranza e la forza che riscopro ogni giorno, mi stanno dando la possibilità di riappropriarmi della mia vita.
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La liturgia non è un rito fine a se stesso. Lo afferma papa Francesco nella Lettera apostolica “Desiderio desideravi”, pubblicata mercoledì scorso sul valore della liturgia e della formazione liturgica.
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