Avvenire di Calabria

L'intervento di don Pino Demasi, sacerdote della Piana di Gioia Tauro

Beni confiscati, strumento per una Chiesa in uscita

Redazione Web

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di Pino Demasi - Sono passati 25 anni da quando, grazie anche al milione di firme raccolte su impulso di Libera, la legge 109 fu approvata in Parlamento. 25 anni che hanno segnato la storia del nostro Paese ed in particolare anche dei nostri territori. Tanti beni sottratti alle mafie, grazie all’impegno di giovani e meno giovani, di associazioni, di cooperative e di istituzioni, Chiesa inclusa, sono stati trasformati da luoghi di violenza e di morte in segni e gesti di vita nuova diventando  “cattedrali” dei diritti della gente, quali il diritto all’abitare, alla salute pubblica, alla sostenibilità ambientale, al lavoro dignitoso ed ai percorsi educativi e culturali. Luoghi e spazi riqualificati e rigenerati nei  quali i diritti e la dignità delle persone sono diventati i principali coinquilini.

Tra i tanti benefici, derivati dall’utilizzo dei beni confiscati, sottolineo alcuni, che, a mio parere, hanno inciso profondamente nella vita delle comunità. Innanzitutto, l’utilizzo di questi beni sta  favorendo  una percezione positiva del nostro territorio. Quando lo spazio urbano e rurale è stato profondamente segnato dall’ostentazione della ricchezza e del potere mafioso, è difficile riconoscersi in ciò che ci circonda: la tentazione di dissociarsi o, peggio, di fuggire dal proprio ambiente è forte.

Da quando, però, il terreno di un boss, prima luogo di timore, simbolo di prepotenza e di malaffare, è diventato il campo coltivato dalla  cooperativa sociale, meta di scolaresche che scoprono la convenienza della legalità, campo di lavoro per volontari provenienti da ogni parte del mondo; da quando sul terreno del boss è stata  edificata una chiesa parrocchiale o un campo da gioco per minori; da quando  il palazzo del boss è diventato Istituto di scienze religiose o centro di accoglienza Caritas o centro di aggregazione giovanile o ambulatorio sanitario o ospita le forze di polizia… allora la percezione del territorio è cominciata  a cambiare: sta diventando  non solo più facile identificarsi con il proprio ambiente che si dimostra capace di cambiamento, ma addirittura ci si sente protagonisti corresponsabili, perché si percepisce il cambiamento come il risultato di scelte condivise. La gente ha ripreso il gusto di abitare le nostre contrade e tanti giovani la gioia di poter restare nella loro terra. Una seconda opportunità consiste nella possibilità di questi beni di  produrre sviluppo e in particolare sviluppo dal forte contenuto etico.

Un elemento di rottura in territori come i nostri, storicamente caratterizzati da una logica d’impresa fortemente condizionata dalla presenza mafiosa e tesa soprattutto a produrre ricchezza per alcuni  e non sviluppo per il territorio e tutela dei diritti per tutti i cittadini. La terza opportunità consiste nel favorire la diffusione della cultura del “noi” e la pratica democratica nel tessuto sociale. Un fatto fondamentale questo, visto che il problema mafia è anche un problema di governance del territorio. Infine, ritengo importante sottolineare un aspetto positivo per quelle comunità ecclesiali, che si sono “sporcati le mani” nell’utilizzo dei beni confiscati. Ne è venuta fuori infatti la forza innovatrice di “una Chiesa missionaria in uscita” disposta e impegnata a risvegliare le coscienze e  ad educare i fedeli alla vita buona del Vangelo, testimoniando con i  fatti l’inconciliabilità tra mafie e vangelo.

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