«Tu puoi tenerti lontano dai dolori del mondo, sei libero di farlo e risponde alla tua natura, ma forse proprio questa tua astensione è l’unico dolore che potresti evitare».
Fra una settimana gli italiani si recheranno alle urne per eleggere il nuovo Parlamento e sarebbe forse il caso che coloro i quali stanno maturando, in questi giorni, l’idea di restarsene a casa, ragionassero sulle parole che Franz Kafka scrisse per tutt’altri contesti rispetto a quelli in cui si consuma la tenzone elettorale, ma pur sempre significative: non è con la fuga – anche se ispirata da sentimenti comprensibili – che si incide sui destini del mondo, tanto più in questo tempo caratterizzato da profonda sfiducia nelle Istituzioni.
«Prendersi cura della casa comune e dei suoi abitanti più vulnerabili vuol dire incamminarsi verso democrazie mature, partecipative, senza le piaghe della corruzione e le demagogie a buon mercato», ricorda il Papa. Il suo invito non può cadere nel vuoto, specie in una Calabria in cui l’onda della rassegnazione spesso sale fino a coprire i segni autentici di speranza e cambiamento. Per questo rinunciare al diritto-dovere di voto rappresenta una rinuncia all’impegno, favorendo pratiche antiche e dannose quali il clientelismo ed il voto di scambio.
È evidente: non si tratta di dare indicazioni di voto per questo e quello, ma di orientarsi alla costruzione del bene comune, contribuire all’edificazione di una politica che smetta l’uso di barattare i diritti come fossero favori e rendere efficace l’azione pubblica attraverso il contrasto alla corruzione ed alle organizzazioni criminali che ne sono causa.
Ancor più in giorni segnati dal ritorno della violenza cresciuta nel vuoto della politica, aggravata da una campagna elettorale acida, cattiva e sovente priva di contenuti propositivi, capace di travolgere persino gli appelli alla memoria, a guardarsi dagli ignari e da quanti non si curano di ricordare quanto sia costato, all’Italia, il periodo lungo e buio dei ragazzi lasciati a terra a colpi di mitraglietta o di spranga, bruciati nei loro letti mentre dormivano in casa, giustiziati davanti alle proprie madri: quella tragica lezione sembra non aver insegnato nulla, come se la libertà, i diritti e la pace, una volta conquistati, fossero per sempre e non da verificare invece nella realtà d’un presente che tende a dilatarsi, ignorando il passato e allontanando il futuro.
I problemi sono tanti, ma è compito della politica, dei partiti, dei movimenti, delle Istituzioni trovare una possibile soluzione. Questo dovrebbe essere l’obiettivo di un progetto – sempre più urgente – nel quale l’adempimento dei doveri di uguaglianza dovrebbe essere condizione di esercizio dei diritti. Per questo diventano necessari il recupero delle relazioni sociali, oggi mortificate dagli egoismi, anche collettivi; la riforma complessiva del mercato del lavoro e delle prestazioni professionali, pure ai fini di una più equa fiscalità e di un severo controllo dell’evasione e dell’elusione; la riscrittura dell’agenda delle politiche per le nuove generazioni.
E tanto altro ancora, per una cultura della legalità che per i cattolici, come per gli uomini e le donne di buona volontà, è obiettivo ambizioso ma irrinunciabile. Vale la pena, con don Milani, chiedersi che senso abbia avere le mani pulite e tenersele in tasca, quando invece ciò che occorre è sentirsi responsabili. Di tutto.
* Arcivescovo di Catanzaro-Squillace e presidente della Cec