Avvenire di Calabria

L’analisi del presidente della Cec, monsignor Vincenzo Bertolone

Calabria, crescono nuove esperienze imprenditoriali

Raffaele Iaria

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Una “mina vagante” una vera e propria emergenza quella del lavoro «soprattutto nella sua configurazione giovanile e meridionale , dove più alto è il rischio che alla mancanza di lavoro si accompagnino una destrutturazione delle identità individuali, una frantumazione dei percorsi esistenziali e, non ultimo, un fondato rischio per la coesione sociale».
Non ha usato mezzi termini il presidente della Conferenza Episcopa- le Calabra, l’arcivescovo di Catanzaro– Squillace, monsignor Vincenzo Bertolone, intervenuto al convegno delle diocesi del Sud Italia sul tema «Chiesa e lavoro – quale futuro per i giovani nel Sud?».
Un appuntamento – in vista delle Settimane Sociali che si svolgeranno a Cagliari nell’ottobre prossimo – al quale hanno partecipato oltre 500 persone ponendo le basi per un’alleanza sociale più solida e concreta tra Chiesa, mondo dell’associazionismo e istituzioni. Affinché la ricchezza di pochi non si trasformi in povertà per molti occorrono fatti e non parole.
Alle dichiarazioni, infatti, devono seguire «concreti criteri di fattibilità. All’identificazione di tali criteri, le Chiese meridionali – ha spiegato – si candidano con piena consapevolezza. Costruire le condizioni per creare lavoro per tutti si pone come lo strumento privilegiato per dare o ridare dignità alle persone, per soddisfare i bisogni materiali, ma anche per rispondere a chi ha fame e sete di giustizia, di dignità, di autorealizzazione, di speranza di futuro e, perciò, non può essere lasciato solo nella disperazione». Disoccupazione, neet, lavoro nero, illegalità, caporalato. E ancora «la presenza pervasiva della criminalità organizzata nel sistema economico e imprenditoriale. Non la criminalità della coppola e della lupara, ma quella, per dirla con il magistrato Gratteri, del doppiopetto e cravatta, i cui effetti e conseguenze si manifestano sempre allo stesso modo, corrompendo alla radice tanto le dinamiche competitive del mercato quanto, e forse soprattutto, la stessa intima voglia di fare, di impegnarsi, di mettere a frutto i talenti che la Provvidenza ha distribuito in tante generazioni di meridionali ». Nonostante ciò, per il presidente dei vescovi calabresi, non tutto è buio nella regione. Crescono infatti nuove esperienze imprenditoriali, si assiste ad una «riscoperta dell’esperienza mutualistica e cooperativa», «si osserva un ritorno alla terra ed al lavoro manuale per troppo tempo considerati negativamente»; «si conoscono le denunce degli imprenditori e si avverte nella gente una grande voglia di politica nuova ed alta. Si ha la sensazione – secondo Bertolone – di trovarsi davanti ad un bivio: ora o mai più». Per questo occorre non “disperdere” questi germi di speranza: «soffocarle a causa anche di una politica non lungimirante, costituirà la responsabilità maggiore di chi, avendo il potere, ha anche il dovere di costruire la casa comune». Le Chiese meridionali e calabresi possono rispondere alla “fame di lavoro” delle fasce giovanili, guardando in faccia i problemi “senza scoraggiarsi”. Da qui alcune azioni. La prima e più importante è quella di ricostruire una idea comune di sviluppo seguita dalla creazione di una capillare rete regionale per valorizzare in maniera coordinata i beni culturali, artistici di interesse comune. Per monsignor Bertolone «non c’è sviluppo senza una rinnovata consapevolezza del bene comune come fine proprio dell’azione politica ed economica ed in una più ampia considerazione che il lavoro non è creato da leggi, decreti e sussidi, ma solo da imprenditori innovativi e da imprese capaci di stare su mercati sempre più competitivi, esigenti e globalizzati». Bisogna “sapere e volere” trasformare in reddito e lavoro “ciò che è proprio di una determinata realtà territoriale ed economica”. Per questo è «opportuno che le autorità nazionali e regionali sappiano differenziare e specificare gli strumenti di promozione imprenditoriali in funzione delle reali opportunità di territori interessati, anche ricorrendo a sostanziosi sgravi fiscali per le imprese, di detrazioni e deduzioni fiscali a beneficio dei consumatori, di ridefinizione dei sistemi contrattuali collettivi e individuali di ingresso nel mondo del lavoro in grado di evitare forme di sfruttamento mascherato dei giovani lavoratori, di sostegno per l’accesso al credito bancario e di una radicale semplificazione amministrativa». Si «potrebbe sperimentare una azione esemplare, riportando nella disponibilità delle cooperative giovanili tutte, ma proprio tutte, le terre confiscate ai mafiosi. Cosa fino ad ora più semplice a dirsi che a farsi perché non è accompagnata da forme di presidio territoriale efficaci per evitare la reazione mafiosa, che spesso si traduce in taglio di alberi, in distruzione di impianti, in varie forme di intimidazione».

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