Avvenire di Calabria

Già all'attivo oltre 176 interventi con ottimi risultati (rispetto ai cento stimati)

Cardiochirurgia, da ‘incompiuta’ a polo di eccellenza

Federico Minniti

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Da simbolo dell'incompiuta sanitaria (con tanto di sperpero di risorse pubbliche) a centro d'eccellenza. Parliamo del “Centro Cuore” del Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria finalmente aperto alla cittadinanza e con già all'attivo oltre 176 interventi con ottimi risultati e un tasso di mortalità bassissimo. E pensare che l'Azienda Ospedaliera si era data come “obiettivo” i cento interventi in un anno, mentre da dicembre ad oggi, ossia in poco più di sette mesi, i risultati sono più che lusinghieri. Merito del lavoro di un'equipe medica di primissimo livello, coordinata dal professore Pasquale Fratto, una vita al Niguarda di Milano, ma calabrese nel sangue. Eppure le condizioni iniziali rispetto la Cardiochirurgia erano tutt'altro che rosee: basti pensare che nel febbraio 2015 il reparto fu al centro dell'attenzione investigativa del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza che segnalò, alla Corte dei Conti di Catanzaro, sei funzionari dell'Azienda Ospedaliera per danno erariale da oltre 40 milioni di euro.
Sembrava destinata ad essere la “solita” storia di sanità calabrese, tra interessi incrociati e pochissime risposte alla cittadinanza. A questo va aggiunto che, nel 2016, il nosocomio di Reggio Calabria fu travolto dallo scandalo “Malasanitas” al punto dall'essere definito «l'ospedale degli orrori». Un colpo durissimo ad un'immagine già fragile. «Questo territorio, da sempre, - ci spiega il professor Fratto - è stato un “mercato sanitario”. Storicamente i calabresi nascono con l'idea di doversi curare altrove». Eppure nell'impresa del “Centro Cuore” si registra una tendenza di segno opposto: «Reggio Calabria ha avuto il record di domande di partecipazione ai concorsi: sessanta cardiochirurghi, cinquantadue anestesisti e cento perfusionisti (i tecnici della circolazione cuore-polmone, ndr). Eppure in tanti dicevano: chi vuoi che voglia andare a Reggio Calabria a lavorare?», ci dice il primario di Cardiochirurgia del Grande Ospedale Metropolitano. Non solo tanti numericamente, ma dal grande curriculum professionale, nonostante – per molti – il dato anagrafico sia molto giovane. Da Londra, dal Belgio, dai principali ospedali del nord Italia: sono tutti i professionisti che hanno accettato una sfida ragguardevole. Rilanciare la sanità pubblica calabrese partendo proprio da quel reparto di Cardiochirurgia entrato nel vortice delle inchieste.
«Parliamo di standard di efficienza che sono sfuggiti alla “prassi” della burocrazia pubblica: dall'agosto al dicembre 2016, infatti, - spiega Fratto - sono stati espletati tutti i bandi di concorso per la formazione dell'equipe medico-sanitaria e, parimenti, anche quelli relativi alla fornitura dell'attrezzatura tecnica. Parliamo di tempi “svizzeri”, giusto per restare nella metafora geografica, applicati all'elefantiaca macchina della sanità calabrese».
Ogni mattina, alle sette e mezza, si ritrovano in riunione all'interno dell'auditorium multimediale. Poi la giornata si svolge con un'attenzione, curata nei minimi dettagli, ai pazienti. In effetti a visitare i locali del “Centro Cuore” è naturale affermare: «Non siamo in Calabria», ma così non è.
Dieci posti di terapia intensiva, dieci posti di degenza in reparto, due sale operatorie tutto in unico piano con la cardiologia. Un reparto di eccellenza assoluta con tanto di emodinamica.
«I pazienti stanno iniziando a fidarsi di noi. L'aspetto più bello è che la gran parte delle persone operate è gente che arriva dal Pronto Soccorso, ossia tutta quella degenza che altrimenti – conclude Fratto - avrebbe dovuto vendersi la casa per andarsi a curare in Lombardia piuttosto che in Emilia Romagna».

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