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Parlando di curve e capi-ultrà si corre il rischio di fare troppa demagogia. Partiamo col dire che il tifo organizzato rappresenta, nelle sue espressioni positive, una risorsa per lo Sport e non un limite. Tanti si concentrano (per una logica dei grandi numeri) sugli ultras del calcio, ma vi sono migliaia di appassionati che macinano chilometri di trasferte anche per il basket e la pallavolo, giusto per fare un esempio. Questa premessa non vuole «annacquare » il problema emerso nelle ultime settimane. L’intervento risoluto del Questore di Reggio Calabria, Raffaele Grassi, determinerà le contromisure sancite per legge, ma occorre spostare la focale di osservazione del fenomeno. In curva è vero che ci vanno soggetti legati alla criminalità organizzata (e questo avviene più o meno ovunque) ed è altrettanto vero che tanti «gruppi-ultrà» vivono una militanza politica nella destra o sinistra estrema. Ma saremmo poco obiettivi se pensiamo che ad abitare quello spazio ci siano solo questi personaggi: non è vero. Ci sono impiegati, commercialisti, avvocati, agenti di commercio. Ci sono genitori, educatori, scout e, persino, arbitri amatoriali. La curva, come lo stadio, è il luogo della passione. Il problema probabilmente è la desertificazione che lo show-business del calcio ha portato all’interno degli stadi e – consecutivamente – nelle curve. Quella passione genuina «dei gradoni del Comunale» si è trasformata in una mentalità ultrà a pagamento. Non è un segreto che le società sportive spesso foraggino i capi-ultrà trasformandoli in capi-popolo (ricordate il caso di Genny ’a Carogna). Ovviamente nel caso della coreografia del derby Reggina-Catania stiamo parlando di un’altra storia. Non c’è connivenza con l’attuale società amaranto. Ma quindi perché «capitano» questi episodi? Il problema è sempre educativo: perché nessuno si è mai chiesto chi fossero i ragazzi della Curva? Perché nessuno ha mai voluto incontrarli? Chi opera nel mondo dello Sport al pari di chi agisce da agenzia educativa ha preferito relegare in quell’angusto spazio quei giovani (e meno giovani) che ne sono diventati i “padroni”. Dove si inaridisce la relazione è, purtroppo, fisiologico il germogliare della delinquenza. La repressione può limitarla, ma non estirparla. Eppure i club degli ultrà sono conosciuti, ma nessuno, tra coloro i quali hanno responsabilità, hanno mai voluto varcare quella soglia per conoscere le loro storie, molte delle quali fatte di amicizie ventennali e di collette per pagare le trasferte. Svanita l’indignazione chi si occuperà di quei ragazzi? Una domanda alla quale, oggi, è difficile dare una risposta.
* presidente Csi Reggio Calabria
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