Avvenire di Calabria

Intervista al presidente del Consiglio Regionale della Calabria, Nicola Irto

«Da Rimborsopoli a casa della cultura»

Federico Minniti

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Ci accoglie in maniche di camicia, come renzismo impone. Nicola Irto è il primo inquilino della casa dei calabresi. Dal suo ufficio al quinto piano si scorge una splendida giornata estiva sulla sua Reggio. Eppure quelle stanze, poco prima del suo insediamento, tutto sono state fuorché un Palazzo di vetro. «Bisogna riportare credibilità nelle Istituzioni: chi rappresenta la Cosa pubblica non è al di sopra della legge e dei cittadini, ma semmai al loro servizio. Per farlo – dice il presidente del Consiglio regionale della Calabria – bisogna fare dei gesti chiari e diretti».

Presidente, lei parla di una «rivoluzione»?

In realtà abbiamo cercato di applicare la normalità ad un’Istituzione che, in parte, la ignorava.

Ci spieghi meglio.

La pubblicazione online dei redditi dei consiglieri regionali, ad esempio. Oppure le dirette streaming delle sedute di Consiglio. Il tutto a costo zero: una bella risposta di trasparenza amministrativa alla stagione degli sprechi.

E i consiglieri calabresi (gli stessi per intenderci che si facevano rimborsare anche l’acquisto dei preservativi, ndr) come l’hanno presa?

Se devo pensare ad un giudizio generale posso dire che è stata accolta bene; certo ogni elemento di novità lascia sempre qualcuno disorientato.

Si riferisce a qualcosa in particolare?

Le nomine degli organismi di garanzia, su mia decisione, sono stati sorteggiati. Non tutti la presero benissimo, ma era una sterzata che andava fatta. E per la cronaca era la prima volta che accadeva nella storia del Consiglio Regionale

Questo un risultato, qualcuno afferma l’unico.

Nell’ultimo anno – ribatte il presidente senza perdere il suo aplomb – nessuna legge regionale è stata mai impugnata per presunte irregolarità o poiché anticostituzionale. Anche questo può apparire un fatto ordinario, ma se si riavvolge il nastro al recente passato accadeva, spesso e volentieri, che le leggi calabresi venissero bocciate.

Cosa è cambiato?

Non sono più bravi i legislatori, ma sta funzionando meglio la macchina amministrativa. Le commissioni espletano il loro mandato al meglio e quindi consentono agli uffici preposti di esprimere i pareri necessari nei termini congrui.

Quali sono gli effetti di questa «rivoluzione» sui calabresi?

Che è aumentata la partecipazione. Chi ha proposte non può e non deve rimanere chiuso in una stanza. Non ci sono più alibi: le commissioni consiliari sono aperte e pronte al dialogo.

Eppure qualche commissione ha subito un rallentamento. Ci riferiamo all’autosospensione del presidente Arturo Bova dal suo ruolo all’interno dell’anti– ’ndrangheta.

Intanto partiamo col dire che la legge anti–’ndrangheta sta seguendo il suo iter naturale che prevede un ampio coinvolgimento del Terzo settore. Quindi nessun rallentamento. Poi ci tengo a precisare che Arturo Bova non risulta né indagato né implicato in nessuna indagine. Il suo gesto è meritorio seppure ai primi di luglio era già fissato il rinnovo di tutte le commissioni. In sostanza non ci sarà nessuno «vuoto» nei lavori della commissione speciale che presiedeva.

’Ndrangheta e politica. Nel report annuale Dna ne è esce fuori un quadro desolante in quanto a connivenze.

C’è pieno e incondizionato sostegno all’operato della magistratura e delle forze dell’ordine. Però questo non basta: bisogna lavorare per colmare il gap negli uffici giudiziari. In questo senso ci siamo impegnati rispetto ai contratti dei precari della Giustizia.

In questo che ruolo deve giocare la Chiesa?

Prima con Giovanni Paolo II, poi con Francesco è chiaro che la Chiesa sta esprimendo tutta la sua volontà di fare una cesura netta con il malaffare. In questo tutta la rete ecclesiastica nei territori di frontiera, qualora ce ne fosse bisogno, deve ancor più intraprendere un atteggiamento quotidiano di scomunica.

Due anni da presidente: il suo bilancio.

Certamente è positivo, ma questo non vuol dire che tutto è risolto. Sono tante le iniziative che abbiamo messo in campo, soprattutto rendere più «vicino» il Palazzo del Consiglio Regionale ai cittadini. Finalmente l’attività culturale ha preso possesso di questi spazi: un cambiamento radicale quest’ultimo. Questo luogo, infatti, per anni è stato ad appannaggio quasi esclusivo dei partiti, adesso invece c’è un abbondare di iniziative del tessuto associativo locale.

La sfida culturale è probabilmente un’urgenza sottodimensionata?

Siamo all’inizio, ma siamo partiti, rispetto alla valorizzazione del Polo culturale “Mattia Preti”. Una straordinaria struttura con moltissimi volumi di pregio che, però, è sconosciuta ai più. Il lavoro svolto è legato anche all’apertura del Polo agli editori calabresi che lo potranno vivere intensamente.

Ci sta dicendo che punta le sue fiches sulla cultura come strumento di riscatto della Calabria?

Per valorizzare questo aspetto, fortemente culturale e perciò fortemente identitario, abbiamo operato degli ingenti tagli ad altre spese storiche del Consiglio regionale. In questo senso c’è un investimento fortissimo dal punto di vista politico–finanziario dell’ente pubblico.

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