
Completata la missione, rientra a Reggio Calabria la barca della legalità
Da imbarcazione per la tratta dei migranti a “laboratorio” per il monitoraggio dell’ecosistema marino e simbolo di rispetto delle regole, È intitolata al capitano De Grazia.
«Il giorno in cui morì, De Grazia stava andando a La Spezia per ricevere le coordinate precise dell’affondamento della Rigel». Con una fermezza che gli anni non hanno intaccato, un ex investigatore della Forestale riapre il caso delle famigerate navi dei veleni. Nei primi anni Novanta il nucleo di Brescia smascherò un enorme traffico di rifiuti, compresi quelli radioattivi. Poi incrociò gli indizi con quelli raccolti dal capitano di Marina, che su mandato della procura di Reggio Calabria indagava sui carichi tossici smaltiti in mare. La verità era lì, a un passo. Ma Natale De Grazia fu stroncato da uno strano malore il 12 dicembre ’95, mentre era in viaggio per la Liguria. Arresto cardiocircolatorio, spiegò l’autopsia. Nel 2013, però, la commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti parlò di «causa tossica». Nei giorni scorsi anche Legambiente è tornata a chiedere di far luce su un mistero che dura da 22 anni. Nebbia fitta anche sui tanti affondamenti sospetti: quello della Rigel andò in scena nel 1987 nelle acque di Calabria, al largo di Capo Spartivento. Un finto naufragio, che secondo l’ex investigatore servì a far sparire un carico inquietante. «Nessuno ha mai cercato la Rigel – spiega chiedendo l’anonimato, per ragioni di sicurezza – ma è sicuro che a bordo ci fossero scorie radioattive e non solo polvere di marmo: quest’ultimo è un materiale talmente povero che non vale nemmeno la pena trasportarlo né tanto meno assicurarlo. Però, guarda caso, ha una proprietà: scherma le radiazioni...». De Grazia era sulle tracce di quella nave e di altre. Tra cui due di cui si è sempre parlato molto poco: la Anni, affondata al largo di Ravenna, e la Euroriver, inabissatasi vicino alle coste croate. Per trovare la Rigel gli mancava tanto così. Forse l’avrebbe aiutato avere tra le mani la lista dei 90 affondamenti sospetti compilata dal Sismi nel ’95, desecretata un mese fa. Risulta che fu spedita non solo al governo, ma anche alla procura di Reggio Calabria. «Però noi non l’abbiamo mai vista – dice l’ex investigatore – De Grazia non ne venne mai a conoscenza. In mano aveva solo la lista dei Lloyds di Londra. La commissione d’inchiesta sui rifiuti dovrebbe convocare tutti noi del pool e chiederci se abbiamo mai visto quel documento. Bisognerebbe chiedere al Sismi a chi fu consegnato». L’inchiesta si fermò con la morte di De Grazia, il pool si sciolse dopo aver illuminato oscuri intrecci affaristici tra clan, massoneria e politica. L’ufficiale della Forestale si era dimesso qualche giorno prima, per scelta non del tutto spontanea. «I segnali preoccupanti non mancarono in quel periodo. Un giorno mi avvelenarono il cane. E la sera, quando tornavo a casa, una macchina mi seguiva con gli abbaglianti puntati. Non ero tranquillo e non potevo nemmeno chiedere protezione perché la nostra era una struttura piccola. Ma non è stato questo a spingermi alle dimissioni. Me ne sono andato perché ho capito che lo Stato non aveva interesse ad andare fino in fondo». Ambiguità e doppi giochi, spiega, hanno contribuito ad affondare anche la verità. «Il Sismi in teoria collaborava con noi, ma i risultati non li abbiamo mai visti. In realtà i servizi non ci hanno mai aiutato, semmai ci controllavano passo per passo, anche in maniera smaccata. Dirò di più: secondo me avevano un infiltrato nel nostro gruppo. Una parte della struttura ci faceva arrivare alcune informazioni, un’altra ci stava con il fiato sul collo e anticipava le nostre mosse». La dimostrazione? La vicenda della motonave Latvia, tenuta d’occhio in quel dicembre proprio perché sospettata di aver imbarcato un carico tossico. «Ma partì all’improvviso da La Spezia, a nostra insaputa. Per andare a inabissarsi chissà dove». Uno dei tanti enigmi in attesa di soluzione. Risolverli, però, non è impossibile. «Qualcuno dovrebbe riunire i filoni delle inchieste di quegli anni aperte a Reggio Calabria, Asti e Milano – suggerisce –. Dentro le carte ci sono parecchie cose, bisognerebbe guardarle con sguardo unico: sono sicuro che si potrebbe arrivare alla verità su diverse vicende, comprese le morti di De Grazia, di Ilaria Alpi e l’incidente della Moby Prince». L’ex investigatore ci spera: ha un conto ancora aperto. «De Grazia era una brava persona, corretta e professionale. Sarei stato disposto a tornare in servizio per fare giustizia di quello che, con tutta evidenza, è stato un omicidio».
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A 25 anni dalla morte, un programma di iniziative promosso dal Circolo Legambiente “Città dello Stretto”, Arci e Libera Reggio Calabria, è stato dedicato al Capitano di fregata reggino, morto in servizio durante le indagini sulle navi dei veleni
Un uomo perbene, un ufficiale con un profondo senso della giustizia e dello Stato. Un eroe, nel senso più vero e profondo della parola. «La sua è una straordinaria testimonianza di coraggio, di umiltà e volontà scrive l’Ammiraglio Pettorino