«Neanche la morte» dice l’apostolo Paolo. Monsignor Giacomo D'Anna ci guida alla riscopertà cristiana del 2 novembre
Defunti, D’Anna: «Se uniti in Cristo nessuno ci separerà»
Redazione Web
2 Novembre 2020
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di Giacomo D'Anna - Da sempre la Chiesa cattolica celebra con grande solennità e partecipazione la commemorazione dei fedeli defunti. Sorge spontanea la domanda ma perché lo fa? La memoria dei morti è per i cristiani una grande celebrazione della resurrezione: quello che è stato confessato, creduto e cantato nella celebrazione delle singoli riti esequie, i funerali, viene riproposto qui, in un unico giorno, per tutti i morti. Con questa unica grande celebrazione si vuole così in primis rinnovare e testimoniare la fede nella risurrezione della carne e nella vita eterna, in secundis esprimere ancora il proprio affetto, amore, e gratitudine «verso quanti ci hanno preceduti nel segno della fede e dormono il sonno della pace».
Con questa memoria allora, la santa Madre Chiesa, vuole inoltre rendere una delle ricorrenze più vissute e partecipate, non solo nei secoli passati e nelle campagne, ma ancora oggi e nelle città più industrializzate, un interessante «evento cristiano». Con coraggio evangelico, la Chiesa cristiana, fin dai primi secoli, ha proiettato il mistero della morte nella luce della fede pasquale che canta la resurrezione di Gesù Cristo, e ha voluto far precedere dalla festa di tutti i Santi, la Commemorazione dei defunti, per dire che non è vero a chiare lettere che non è vero che con la morte tutto finisce, ma che dopo questa vita ce ne attende un’altra, più bella, gioiosa e luminosa, della quale i Santi e molti dei nostri defunti godono da ora e per sempre. Un modo concreto per vivere con i fatti le verità di fede, quella della comunione dei santi, in questo caso, che ci parla della intima e indissolubile unione che esiste tra i cristiani battezzati e Gesù Cristo e conseguentemente anche tra di loro. Unione ( Communio) che niente e nessuno potrà mai rompere o spezzare, neppure la morte.
Ma che senso ha pregare per i morti? E perché andare a trovarli nei cimiteri, se ormai non sono più? E’ strano davvero come nonostante la cultura e il pensiero moderno cerchi ad ogni costo di evitare di parlare di morte, e vorrebbe quasi quasi negarla, in quel giorno anche le persone più agnostiche più scettiche e indifferenti, sentono dentro come qualcosa che li spinge a varcare quei cancelli che immettono in un «campo santo». Un campo, un luogo seminato, un luogo dove tutto è sotterrato, sepolto, seppellito, ma un luogo dal quale come nella natura, per ognuno di noi, presto verrà la primavera è tutto ciò che oggi è sepolto, seppellito e sotterrato, rifiorirà, rinascerà e risorgerà.
Che bella l’espressione di Enzo Bianchi: «Per molti di noi là sotto terra ci sono le nostre radici, il padre, la madre, quanti ci hanno preceduti e ci hanno trasmesso la vita, la fede cristiana e quell’eredità culturale, quel tessuto di valori su cui, pur tra molte contraddizioni, cerchiamo di fondare il nostro vivere quotidiano». La visita al cimitero e la commemorazione dei defunti allora è un modo particolare di fare una sorta di statio, una sosta, una fermata nella nostra frenetica corsa terrena, e in quel giorno, 2 novembre di ogni anno, tutti quel si fermano, per riflettere per un istante sul senso della loro vita e della loro morte.
Ed è proprio lì, proprio in quello che può sembrare un luogo di desolazione, di pianto e disconforto che la Chiesa leva la sua voce forte e solenne per gridare a tutti che Cristo ha vinto la morte poiché è il Signore della vita e della morte e ricordare che la morte è un passaggio, una pasqua, un esodo da questo mondo al Padre: per chi crede essa non è più enigma perché inscritta nella morte di Gesù Cristo, che ha saputo fare di essa, un atto di offerta al Padre. Il cristiano allora, che per vocazione muore con Cristo ed è con Cristo sepolto nella sua morte, con Cristo risorgerà nell’ultimo giorno. In questo senso la preghiera per i morti è un atto di autentica intercessione, di amore e carità per chi ha raggiunto la patria celeste; è un atto dovuto a chi muore perché la solidarietà con lui non dev’essere interrotta, ma vissuta anche post–mortem.
Tante volte abbiamo sentito dire, che è importante amarsi e rispettarsi in vita, perché dopo la morte non si può fare più niente. Per noi cristiani non è così noi crediamo che ancora possiamo essere utili e di aiuto ai nostri parenti amici, benefattori defunti, addirittura prossimo ancora recuperare le nostre mancanze d’amore e di rispetto compiuti verso di loro quando ancora erano in vita.
Addirittura in questo c’è quasi un «admirabile commercium», un scambio ammirabile tra noi che siamo quaggiù e loro che sono lassù, perché siamo convinti che come noi preghiamo per loro affinché Dio che è padre buono e giudice di misericordia possa dare ai nostri cari defunti il premio delle loro sofferenze e dei loro sacrifichi e la gioia di contemplare il suo volto nella patria dal cielo, così loro che oggi sono più vicini a Gesù, pregano per noi che da quaggiù li ricordiamo e preghiamo, affinché il Signore ci conceda sempre la salute, la consolazione e la pace.
Sulle colline di Reggio Calabria sorge una parrocchia dell’omonimo quartiere: San Cristoforo. Una chiesetta costruita da alcuni abitanti testimonia una diffusa devozione al santo già nel XVI secolo; nel 1595 la visita del vescovo D’Afflitto. Ripercorri le tappe storiche della comunità.
Quest’anno la giornata si celebra domenica 12 febbraio (VI domenica del tempo ordinario). È l’occasione per sostenere con la preghiera e concretamente il Seminario Pio XI.
Durante i lavori della prima assemblea del 2023, il benvenuto al nuovo assistente spirituale e il ringraziamento a don Gianni Polimeni, «per anni guida costante e rassicurante».
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