
Dall’Ucraina a Roma, speranza tra le macerie. Don Taras Zheplinskyi racconta il “suo” Giubileo
In occasione del Giubileo della Comunicazione, don Taras Zheplinskyi, vicedirettore del Dipartimento della comunicazione della
«Occorre reagire alle calunnie, ma per farlo serve raccontare le bellezza di una Chiesa che si fa prossima», parola di don Ivan Maffeis, direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni sociali e sottosegretario della Conferenza episcopale italiana. Don Maffeis è stato a Reggio Calabria per la formazione dei sacerdoti. Lo abbiamo intervistato.
Quale futuro per i media cattolici?
Oggi le nostre Chiese sono chiamate a fare dei progetti sostenibili. Non è certo il tempo di costruire delle «cattedrali nel deserto». Il grande obiettivo è quello di essere prospettici, di guardare avanti. Laddove ci siano queste intuizioni, allora è un dovere sostenerle.
Una prospettiva che passa necessariamente dalla logica “multicanale”?
La tecnologia ci mette a disposizione la possibilità di un’interazione reale. Troppe volte ciascuno tende a curare il proprio orto. La strada invece è quella della contaminazione: occorre lavorare insieme. Ogni realtà deve assumere come un modello sinodale. Bisogna ragionare da editori. Non è possibile che la Cei abbia tanti strumenti e non riesca a metterli insieme per veicolare i contenuti della comunicazione cattolica italiana.
Il «centralismo» non rischia di soffocare le piccole realtà di provincia?
Al contrario: dobbiamo evitare il “localismo”, però il locale è vitale ancor più per il nazionale. La forza del territorio è la grande ricchezza per le Comunicazioni sociali.
In occasione del Giubileo della Comunicazione, don Taras Zheplinskyi, vicedirettore del Dipartimento della comunicazione della
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