Avvenire di Calabria

I passi verso il Convegno ecclesiale regionale: l'intervento del direttore della Caritas diocesana di Reggio Calabria-Bova

Don Pangallo: «Rinsaldare la sinergia tra servizio e annuncio»

Antonino Pangallo

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E venne la pandemia a scombinare le carte. La preparazione del Convegno ecclesiale regionale ha subito non pochi contraccolpi per l’arrivo del Covid-19. Tuttavia, il lavoro di preparazione procede alacremente, pur nel cambio di passo dovuto al trasferimento di monsignor Satriano da Rossano-Cariati alla sede di Bari. Come è noto, il presule coordina a nome della Conferenza episcopale calabra (Cec) i lavori e ne è stato fin qui il promotore. Don Franco Liporace, dell’ufficio catechistico regionale, tiene le fila di un lavoro paziente e capillare di tessitura, il cui fine è spronare le chiese diocesane, a tutti i livelli, a mettersi in cammino per un approfondimento sul tema: la Comunità ecclesiale grembo generativo. Sono stati coinvolti gli uffici pastorali regionali, gli istituti teologici e tutte le componenti ecclesiali. Come lo stesso monsignor Satriano ha scritto nella presentazione, «il cammino fatto fin qui è un interessante ed avvincente cantiere-laboratorio sinodale, nel quale sperimentiamo un bel respiro di Chiesa».

Abbiamo tutti bisogno di respirare a pieni polmoni nel soffio dello Spirito per non rimanere chiusi, con il rischio di morire asfissiati, agonizzando nell’aria stagnante, magari sognando di essere sul Monte Bianco. La chiusura di questi mesi rischia di acuire il respiro corto delle nostre comunità. Sentiamo l’invecchiamento e ci sembra di essere destinati alla sterilità. Essere e tornare ad essere grembo generativo alla fede è la speranza delle comunità ecclesiali calabresi. Anche oggi il Vangelo genera vita e la comunità ne è il grembo. Non deve farci paura la sterilità di questo tempo. Non ci accada come ad Abramo e a Sara (come racconta il libro della Genesi ai capitoli 17 e 18) di ridere della promessa. Isacco nascerà. Il figlio del sorriso nascerà e trasformerà l’ironia scettica in esultanza. Il lavoro di confronto già avviato a livello delle tre metropolie ha mostrato luci ed ombre su due temi: il modello di Chiesa e la comunicazione della fede. La sintesi merita di essere approfondita.
 
Sul versante della Caritas mi sembra utile richiamare un passaggio. La base ecclesiale coinvolta fin qui concorda sulla necessità di una formazione che «deve riguardare sia le competenze relazionali di accoglienza, ascolto, empatia, valorizzazione delle differenze dell’altro, sia la capacità di leggere i segni del regno nella vita delle persone e nella storia, accanto ad un impegno serio di fede coerente». Mi sembra interessante tale passaggio proprio perché chiama in causa la testimonianza della carità come linguaggio per vivere e trasmettere la fede. Nel tempo della pandemia, mentre tante attività formative si sono quasi fermate, il servizio agli ultimi è continuato. Attraverso di esso si comunica la fede. La testimonianza della carità è oggi uno dei linguaggi per dire la fede e può divenire via di evangelizzazione.
 
Vi è una sinergia da rinsaldare tra evangelizzazione e carità. Sarebbe interessante creare un laboratorio di confronto tra questi due ambiti. Se vogliamo raggiungere l’uomo e la donna secolarizzati ed annunciare il Vangelo, forse dovremmo meglio entrare nei nuovi linguaggi, ripartendo dallo stare, dal condividere la vita. La sintesi dei lavori verso il convegno aggiunge: «L’esigenza della formazione ha come prospettiva la necessità di abitare, possedere, trovarsi a proprio agio nei nuovi linguaggi, sia per stabilire relazioni con i lontani, sia per attualizzare la fede nella celebrazione, come anche ripensare profondamente il modello e lo stile di comunicazione della fede». Quando le parole non penetrano o non bastano, forse sarà attraverso la condivisione di vita che Cristo sarà annunciato.
 
* Direttore Caritas diocesana di Reggio Calabria-Bova

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