Avvenire di Calabria

Il referente regionale dell'associazione 'Libera' per la Calabria interviene sul caso dell'autobomba di Limbadi

Don Stamile: «Non lasciamo soli chi denuncia la ‘ndrangheta»

Ennio Stamile

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Qui in Benin, Paese africano dove attualmente mi trovo, c'è un silenzio assordante: quello di Ouidah località posta sulla costa occidentale dell'Atlantico, da dove partivano gli schiavi destinati nei Paesi dell'America Latina e dell'Europa. C'è anche il silenzio assordante dei villaggi di palafitte del fiume Ouemè, dove con coraggio ed ostinazione uomini, donne e bambini convivono con il grande fiume e i suoi ingrossamenti, che a volte arrivano fino ad entrare dentro le palafitte vuote di tutto, ma colme di dignità e di condivisione. C'è il silenzio coraggioso delle Suore agostiniane dell'orfanotrofio di Sakété, che in uno dei posti più dimenticati al mondo, continuano la loro opera materna verso bambini abbandonati o orfani che nessuno avrebbe mai accolto. La strada che conduce all'orfanotrofio, dopo tre anni di lavori l'abbiamo trovata decisamente peggiorata, anzi addirittura interrotta; per arrivarci ci deve precedere qualcuno in moto che ci fa percorrere strade sterrate piene di enormi buche, polvere, animali domestici e odori tipici di una Terra, quella africana, dove uomini, terra ed animali vivono in perfetta osmosi. In Calabria, Regione da dove provengo e vivo, c'è il rumore delle bombe fatte detonare a Limbadi per uccidere  e riportare tutto nel silenzio cupo, che da svariati decenni ha eretto un'invisibile statua: quella "dell'omertà". Uomini senza coraggio, senza dignità, privi di sentimento, di compassione, violenti, capaci solo di badare ai loro loschi affari, compongono ciò che da più di un secolo si chiama 'ndrangheta, ormai diventato l'altro nome con il quale è riconosciuta la Calabria. È da diversi decenni, purtroppo, che la nostra Regione non viene più ricordata per aver dato il nome all'Italia, men che meno perché ha dato i natali all'utopia di Cassiodoro, Gioachino da Fiore, Tommaso Campanella. Da troppo tempo essa è sinonimo oltre che di 'ndrangheta, anche di disoccupazione, immigrazione, malasanità, corruzione.    
Difficile che emergano storie di tante donne che denunciano, resistono, chiedono che i loro figli vengano allontanati. Spesso, purtroppo, barbaramente uccise, come Lea Garofalo, Maria Concetta Cacciola, Tita Buccafusca e molte altre - 157 in tutto almeno quelle che si conoscono - che le varie mafie hanno ucciso, fatto sparire nel nulla o costrette al suicido sin dall'inizio del secolo scorso. Il 21 marzo a Vibo a celebrare la XXIII giornata della memoria e dell'impegno eravamo davvero in tanti, soprattutto giovani e studenti provenienti da tutta la Regione. Con convinzione, coraggio e passione abbiamo accompagnato i familiari delle vittime innocenti della 'ndrangheta. Tutto ciò, evidentemente,  ha provocato le numerose 'ndrine locali, se ne contano 27 attive nel territorio. Qualcuno si è innervosito a tal punto da sfregiare anche un monumento dedicato alla memoria di Filippo Ceravolo e di tutte le vittime innocenti delle mafie. È successo a Soriano proprio qualche giorno fa, lasciando sgomenti Sindaco ed un'intera comunità. Di fronte a tali gesti, ancor di più alla violenza, quella che ha fatto saltare l'auto di Matteo Vinci, uccidendolo sul colpo e ferendo gravemente suo padre, le parole non servono. Serve invece determinazione a voler proseguire, nonostante tutto, sulla via della verità che sola può condurre alla giustizia. In Calabria, percorrere questa via non è semplice, un po' come viaggiare in Africa. Gli ostacoli possono sbucare dappertutto, anche dove meno te lo aspetti. Chi mai se lo sarebbe aspettato, infatti, che in questa triste storia iniziata circa 25 anni fa a causa di un terreno limitrofo ai Mancuso, una delle più potenti cosche calabresi, la famiglia Vinci avrebbe dovuto fare i conti anche con le Istituzioni. Nel 2014 sono finiti tutti in carcere per rissa. In realtà, spiega Rosaria Scarpulla, mamma di Matteo ora rimasta sola, "era un vero e proprio agguato organizzato dai Mancuso, ci hanno massacrati di botte, e come se non bastasse durante il processo noi eravamo in gabbia, loro, invece, ci guardavano con alterigia, a distanza, comodamente seduti su di un banco". Come è stato ribadito dal legale della famiglia, con tanto di documenti a supportare ciò che non può essere derubricato come sterile vittimismo, "i Vinci sono una famiglia massacrata dalla 'ndrangheta". La stessa organizzazione criminale diventata potentissima a causa di una lunga, ingiustificata ed ingiustificabile latitanza dello Stato nei decenni scorsi, che sta "massacrando" l'intera nostra Regione. Questa storia somiglia molto a quella di Naboth che ci racconta la Bibbia nel primo Libro dei Re capp.21-22 contenuta nel cosiddetto "ciclo di Elia". A commentare tale episodio biblico per primo in Occidente è stato Sant'Ambrogio, con il volume dal titolo: "La storia di Naboth", una delle letture più consigliate da Papa Francesco. Spesso, come ben sappiamo, il santo Padre torna a parlare del cattivo uso delle ricchezze, "realtà che possono essere buone ed utili al bene comune, ma che troppo spesso sono vissute come privilegio con prepotenza ed egoismo, si trasformano in strumenti di corruzione e morte. Naboth - continua Papa Francesco - è stato reo di non aver concesso la vigna al re, una vigna confinante con il palazzo reale dove Acab avrebbe voluto piantare un orto. Ma Naboth rifiutò l'affare «Mi guardi il Signore dal cederti l'eredità dei miei Padri». Sappiamo dal Testo biblico che Naboth per ordine della regina verrà accusato ed ingiustamente messo a morte, Acab si impadronirà della vigna e vi pianterà l'orto desiderato. Papa Francesco sottolinea come quella di Naboth sia un riflesso della società contemporanea, dove la sete di potere "diventa cupidigia che vuole possedere tutto". Circa milleseicento anni prima un altro Vescovo, Ambrogio da Milano, scriveva che "ogni giorno Acab nasce in questo mondo e giammai muore". Se questo è tristemente vero lo è anche il fatto che in questo mondo governato dai vari Acab di turno, vi sarà sempre qualcuno che, con la forza e la libertà della profezia di Elia, come Papa Francesco o come la signora Rosaria Scarpulla, sono pronti e determinati a denunciare soprusi, violenze, inganni. Non lasciamoli soli.
 
* Referente regionale Libera Calabria 

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