Avvenire di Calabria

Il racconto della sua esperienza partendo dai primi passi con i ragazzi nei campi-lavoro a Santa Venere: «Rivoluzionari»

Don Umberto Lauro si racconta: «Il ”mio” Sacro Cuore»

Federico Minniti

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Il portone della chiesa del Sacro Cuore di Gesù, nel rione “Ferrovieri” di Reggio Calabria, è aperto. Entrando in chiesa, notiamo che un fascio di luce si proietta verso l’altare dove è esposta l’Eucarestia. Al secondo banco, inginocchiato c’è don Umberto Lauro, parroco da quarant’anni della comunità parrocchiale. Iniziamo così uno scorcio di mattinata assieme. Potremmo dire che, nell’oltre mezzo secolo di servizio sacerdotale, don Umberto abbia vissuto sempre la doppia dimensione, della preghiera e del servizio, assieme ai propri fedeli proprio come in occasione del nostro incontro. Ci fa segno di seguirlo, con lui entriamo nel suo studio. Un mare di carte sulla scrivania, una vista “opposta” rispetto a come l’abbiamo trovato. Inginocchiato e indaffarato, così il parroco del Sacro Cuore vive i giorni di preparazione alla festa parrocchiale.

Cinquantadue anni da sacerdote. Quali aneddoti hanno accompagnato i suoi primi passi?

Di tutto questo tempo, gran parte l’ho vissuto proprio al servizio della parrocchia del Sacro Cuore di Gesù. Ordinato nel 1966 da monsignor Ferro che mi mandò, un anno dopo, come vice–parroco proprio questa comunità fino al 1971. Ho vissuto le primizie del mio sacerdozio quì: sono stati anni vissuti con grande entusiasmo, soprattutto nella pastorale degli ammalati e dei ragazzi che mi furono affidati dal parroco del tempo, don Meduri. La parrocchia in quegli anni era il punto di riferimento di tutto il rione, molto popolare, abitato da ferrovieri e pescatori. Non c’erano i nuovi agglomerati urbani, come il Parco Sicilia e il complesso Zagarella. C’era un dinamismo straordinario del volontariato, all’inizio degli anni ‘70 durante i “Moti di Reggio”, con il quale si è dato avvio a esperienze radicali, come il servizio a Santa Venere con i campi– lavoro sostenuti da don Lillo Spinelli. Facemmo anche noi, a modo nostro, una “rivoluzione”, questa però era davvero missionaria.

Poi il trasferimento a Terreti. Una nuova sfida.

Nel 1971, monsignor Ferro mi chiese di raggiungere quella comunità pre–aspromontana. Ricordo che l’edificio di culto era crollato: celebra- vo Messa in piazza o in un’aula dell’asilo. Fu un’esperienza accanto con la gente e per la gente. Mi aiutarono molto anche i giovani dell’Azione cattolica di cui divenni, proprio in quegli anni, assistente diocesano.

Dal 1976 a oggi, il suo servizio al Sacro Cuore di cui oltre a essere pastore, è anche memoria storica.

Non è semplice fare un “bilancio”, certamente sono stati anni di grande impegno. Se devo sottolineare un aspetto è la grande fraternità sacerdotale con l’allora parroco del Divino Soccorso, don Salvatore Nunnari, oggi arcivescovo emerito di Cosenza–Bisignano. Vivevamo di un incoraggiamento reciproco: basta pensare che avevamo fondato un giornale interparrocchiale “Insieme costruiamo la Comunità”. Curavamo molto la formazione cristiana dei nostri laici e, all’occorrenza, non mancavano le denunce che riguardavano il territorio e le problematiche sociali.

Anni di lotte per un territorio dalle grandi potenzialità, ma che conserva anche tante sacche di disagio.

Non ho mai smesso di immaginare dei percorsi che ponessero al centro della nostra azione pastorale, il risanamento del territorio. Purtroppo il cammino non è semplice. Ho recentemente sottoposto diversi temi al Sindaco e all’Amministrazione comunale. Il dialogo c’è, bisogna capire quali saranno le risposte concrete.

Forse come dice il cardinale Bassetti, è l’ora dei cattolici in politica.

Percepisco grande sofferenza negli adulti di oggi. Per questo motivo, proprio in occasione della festa parrocchiale, avvieremo dei confronti sul tema della partecipazione dei cittadini alla Cosa pubblica. Probabilmente servirebbe rispolverare l’entusiasmo degli inizi degli anni ‘90 in cui nacque l’esperienza di “Insieme per la Città”, nata proprio nei nostri saloni parrocchiali, e che cambiò la politica reggina partendo dal basso.

Se gli adulti “soffrono”, c’è il rischio che i giovani disertino le parrocchie.

Urge essere onesti: non è un momento florido. Probabilmente occorre attivare delle iniziative che colgano il bisogno dei giovani, serve – in questo senso – una nuova pastorale giovanile sui territori.

Un tempo di fatica che dovrà essere accompagnata da tanti giovani sacerdoti. Che consigli si sente di dare?

Devono avere il coraggio di «entrare dentro», di farsi portatori del messaggio evangelico da «dentro» le realtà di tutti i giorni. Una spiritualità che non è incarnata, non costruisce una comunità cristiana.

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