Avvenire di Calabria

Emergenze vere e storie che trafiggono l’anima

La direttrice Caritas, Maria Angela Ambrogio, scrive la sua riflessione in occasione delle prossime festività Natalizie.

di Maria Angela Ambrogio

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Sono nella città eterna, piove e fa freddo, e mentre consumo la cena, arriva il vento caldo del sud che porta con sé gli echi di una città stanca. Gli aneliti di dignità e ogni tentativo di ripresa, purtroppo si infrangono nel fallimento. La mia città bella è piena di contraddizioni, ma è la mia città ed io la guardo affondare nell’indifferenza.

Ho ancora nel cuore le riflessioni dell’ultima lectio in occasione del nostro sinodo. Le parole del commento alla storia del cieco Bartimeo che sedeva lungo la strada di Gerico a mendicare (Mc 10, 46-52), mi ritornano alla mente e mi trafiggono l’anima. Bartimeo gridava: “Abbi pietà di me”. In tanti cercano di zittirlo ma egli gridava ancora più forte. Cercava solo di raggiungere Gesù ed avere compassione come tanti volti di questo tempo.


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E il vento soffia e corre veloce per le strade della mia città. Soffia sulle grida di Maria che passa ciclicamente dal mio ufficio. La sua casa è fatiscente e lei e la figlia sono cagionevoli di salute. Nessuno le vuole ascoltare e, comunque, per le carte, lei non ha diritti né a stare nella casa abusiva, né in nessun’altra.

Soffia e passa nelle case in cui si consuma la mercificazione del corpo di uomini e donne costrette a vendersi per poter esistere. Soffia e passa nell’ultimo sbarco avvenuto in città. C’è una bambina con i piedini nudi e una volontaria improvvisa con il suo scalda collo delle scarpine. Soffia ed asciuga le lacrime di Francesco che non riesce a pagare la bolletta della luce e sa che la moglie oggi è stata al centro d’ascolto a chiedere aiuto. Caterina lo ha rassicurato che lì non deve giustificarsi perché non riescono ad arrivare a fine mese. Soffia ancora e vede i tanti giovani con gli sguardi spenti, lì pronti a nascondere le loro fragilità dietro una bevuta o una tirata di troppo, tanto ormai è normale tenersi su così. Soffia ed arriva in una palestra dove non fa freddo, come qualcuno ha il coraggio dire, perché i migranti hanno tutto ciò di cui hanno bisogno, pensa se erano in mare….

E poi soffia negli stabili abbandonati diventati albergo a 5 stelle e che ormai non ci scandalizzano più. Che privilegio avere per tetto non le stelle ma le stalle!

Il vento del sud si confonde con i venti di guerra, e arrivano le foto degli amici ucraini ospitati nelle nostre parrocchie la scorsa primavera ed ora rientrati in patria, e il loro Natale sotto le bombe. Flebili si accendono le luci del Natale, e penso al povero che ha il coraggio di gridare, a quanti fra noi, attraverso tanti mezzi cercano di spegnere il grido di dolore e di aiuto, quasi tentando di normalizzare la sua situazione.

In fondo Maria, Francesco, Mario, Carlo, non sono solo casi, pochissimi casi, qualche volta soggetti da prendere in carico, numeri. Non destano allarme, quasi fossero diventati un carico residuale, non sarebbero un’urgenza vera. Sono volti, storie, ferite, negazioni di diritti, hanno peso. Si. Essi fanno vento. Sono anime che ci scuotono.

Eppure il Signore ci ricorda che siamo chiamati a condividere la nostra stessa vita con i poveri, a chiamarli per nome, a farci prossimi, a condividere la loro stessa sorte, a gridare per loro, smuoverci. E ci invita ad assumere lo stile della povertà, a far sì che i poveri non siano miseri dal momento che essi hanno una dignità da far emergere, la dignità dei figli di Dio.

E penso agli auguri scomodi di don Tonino e ai suoi passaggi duri, che interpellano e muovono tanti volontari al servizio. “Il bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio”. Visceralmente non possiamo fare altro che avere il coraggio di gridare come Bartimeo. Il povero cieco urla per poter incontrare Gesù. Oggi come nella strada per Gerico, i poveri gridano il loro bisogno di relazione, il loro bisogno di essere guariti da ferite che hanno a che fare con l’ingiustizia. Già perché la povertà è ingiustizia.

Mentre piove, e vedo una luce illuminare una notte, la mia notte, auguro a me stessa, alla mia Caritas, alla mia città, mi scuserà ancora don Tonino se prendo in prestito ancora le sue parole, di non dormire nell’indifferenza. I poveri che accorrono alla grotta ci facciano capire che, se anche noi insieme vogliamo vedere “una gran luce”, dobbiamo partire dagli ultimi.

* Direttrice della Caritas diocesana di Reggio Calabria - Bova

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