Avvenire di Calabria

La consueta lettura “sociale” dell’enciclica di papa Francesco da parte di don Antonino Pangallo (SESTA PARTE)

"Fratelli Tutti", «c’è bisogno di una migliore politica»

Antonino Pangallo

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«Anche il buon samaritano ha avuto bisogno che ci fosse una locanda che gli permettesse di risolvere quello che lui da solo in quel momento non era in condizione di assicurare» (165). Se la fraternità e l’amicizia sociale tendono all’universalità, la politica è un passo obbligato da seguire: «Per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale, è necessaria la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune» (154).
La carità non è un semplice movimento affettivo, ristretto al chiuso di relazioni corte, ma è orientata al raggiungimento di una vita piena per tutta l’umanità. La carità, infatti, non è un semplice sentimento ma è la capacità di abbracciare ogni persona e di fornirle la possibilità di una vita sempre più armoniosa. Se la relazionalità umana è tesa ad una interconnessione planetaria, va da sé che essa crea sempre di più sistemi ampi. Posso aiutare una persona ad attraversare un fiume, ma se costruisco un ponte permetto a tanti di passare: «Un individuo può aiutare una persona bisognosa, ma quando si unisce ad altri per dare vita a processi sociali di fraternità e di giustizia per tutti, entra nel «campo della più vasta carità, della carità politica». Si tratta di progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale. Ancora una volta invito a rivalutare la politica, che «è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune» (180).
La politica è pensare al bene comune ed intrecciare tutte le reti sociali, istituzionali, tecniche e valoriali al fine del conseguimento della vita piena. San Paolo VI diceva che la politica è la più alta forma di carità: «La carità …implica un cammino efficace di trasformazione della storia che esige di incorporare tutto: le istituzioni, il diritto, la tecnica, l’esperienza, gli apporti professionali, l’analisi scientifica, i procedimenti amministrativi, e così via... La vera carità è capace di includere tutto questo nella sua dedizione, e se deve esprimersi nell’incontro da persona a persona, è anche in grado di giungere a un fratello e a una sorella lontani e persino ignorati, attraverso le varie risorse che le istituzioni di una società organizzata, libera e creativa sono capaci di generare» (164-165).
La parola “popolo” è centrale. Oltre la deriva del populismo, il termine non rivela una massa da conquistare ed orientare, magari facendo leva sulle pulsioni, ma indica una rete sociale di relazioni, di valori, di interessi, di aspirazioni.
Oggi è opportuno recuperare la dimensione di “popolo” ma evitando i rischi di una lettura parziale del termine: «Popolo non è una categoria logica, né è una categoria mistica… La parola popolo ha qualcosa di più che non può essere spiegato in maniera logica. Essere parte del popolo è far parte di un’identità comune fatta di legami sociali e culturali. E questa non è una cosa automatica, anzi: è un processo lento, difficile… verso un progetto comune» (158).
Nella visione cristiana il popolo non è un mostro da ammansire e da circuire, rivestendo totalitarismi, ma una fitta rete di relazioni con il coinvolgimento di soggetti diversi, di visioni, di energie umane, comprese le istituzione organizzate che via via si formano. «La buona politica unisce all’amore la speranza, la fiducia nelle riserve di bene che ci sono nel cuore della gente, malgrado tutto» (196). 

È ormai evidente che le visioni liberali, centrate e regolate dal mercato e dalla tecnica, non hanno generato uno sviluppo per tutti: «Il mercato da solo non risolve tutto» (168).
C’è bisogno oggi più che mai di migliore politica. Si può e si deve parlare di amore politico, capace di essere operatività nell’integrare e radunare. «La carità politica si esprime anche nell’apertura a tutti. Specialmente chi ha la responsabilità di governare, è chiamato a rinunce che rendano possibile l’incontro, e cerca la convergenza almeno su alcuni temi. Sa ascoltare il punto di vista dell’altro consentendo che tutti abbiano un loro spazio... È qualcosa di più, è un interscambio di offerte in favore del bene comune. Sembra un’utopia ingenua, ma non possiamo rinunciare a questo altissimo obiettivo» (190). E tutto ciò non esclude la tenerezza: anche nella politica c’è spazio per amare con tenerezza. «Cos’è la tenerezza? È l’amore che si fa vicino e concreto. È un movimento che parte dal cuore e arriva agli occhi, alle orecchie, alle mani. […] La tenerezza è la strada che hanno percorso gli uomini e le donne più coraggiosi e forti» (194).
Se questa è la carità politica, ingrediente essenziale per la fraternità universale, la strada da percorrere è ancora tanta, ancor più nella nostra nazione e nella nostra Calabria: «Vista in questo modo, la politica è più nobile dell’apparire, del marketing, di varie forme di maquillage mediatico. Tutto ciò non semina altro che divisione, inimicizia e uno scetticismo desolante incapace di appellarsi a un progetto comune» (197).
La politica è una vocazione da vivere: «Il politico è un realizzatore, è un costruttore con grandi obiettivi, con sguardo ampio, realistico e pragmatico, anche al di là del proprio Paese. Le maggiori preoccupazioni di un politico non dovrebbero essere quelle causate da una caduta nelle inchieste, bensì dal non trovare un’effettiva soluzione al «fenomeno dell’esclusione sociale ed economica» (188).
A buon intenditor queste parole bastano…

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