Avvenire di Calabria

Invito del vescovo Fiorini Morosini a intercettare gli «spazi» economici che la regione offre

«Giovani, investite sulla Calabria»

Federico Minniti

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Lavoro e valori. Monsignor Giuseppe Fiorini Morosini protende la lettera indirizzata ai giovani della diocesi di Reggio Calabria – Bova nella realtà quotidiana. Un esercizio critico rispetto alla presenza della Chiesa in un territorio che vive la condizione di frontiera. Nei suoi occhi l’esperienza sinodale e quella piazza di Melito Porto Salvo che, nello stesso tempo in cui accoglieva una delle attività pre–assembleari nel 2015, dall’altra registrava uno dei fatti più cruenti per il reggino, ossia lo stupro di gruppo di una tredicenne per ben tue anni.

Padre Giuseppe, una ferita che riapre l’attualità di un tema forse sottaciuto, quello della sessualità. Come si affronta questa sfida?

«Con il coraggio della chiarezza: per troppo tempo, anche all’interno delle nostre comunità, abbiamo taciuto. La forza del “discorso libertario” ha fatto percepire le norme morali come antiquate. La Chiesa ha avuto timore di «parlare nel deserto» per paura di non essere capiti.
Oggi ci stiamo accorgendo come quel “discorso”, quella subcultura, ha portato la sessualità a essere concepita solo come divertimento. Bisogna assumersi la responsabilità di dire che il piacere sta nella gioia del dono che è un aspetto fondamentale per il legame matrimoniale».

Matrimonio. La maggior parte delle giovani coppie vede come impossibile la realizzazione del sogno di sposarsi.

«Si deve partire da un dato esperienziale. Sicuramente c’è un aspetto teologico, come la centralità della dimensione umana, ma per affrontare questa sfida bisogna misurarsi con le ottemperanze di ogni giorno.
Bisogna accettare il “sacrificio”, proprio per come lo propone il Vangelo».

Restando su un versante pragmatico, i giovani vivono il dramma della disoccupazione che ha raggiunto il 40% secondo l’ultimo dato dell’Istat.

«Dobbiamo cambiare modo di approcciarci al tema del lavoro.
Più che i giovani, in realtà, sono i genitori a dover fare una vera e propria “rivoluzione culturale”.
Togliersi l’immaginario obbligatorio del figlio “in giacca e cravatta”, un orizzonte che – con le debite eccezioni – possiamo considerare come tramontato».

Dobbiamo arrenderci all’idea che per lavorare bisogna per forza emigrare?

«Scegliere alcuni settori dell’industria avanzata equivale a scegliere di andare via dalla Calabria, ma questa non è l’unica opzione. Quando era vescovo a Locri ho fatto incontrare la Camera di commercio di Catanzaro con gli alunni delle ultime classi per illustrare a quei giovani quali sono gli “spazi” economici che la Calabria offre.
Seppur in crisi, alcuni settori possono essere sfruttati meglio.
Mi riferisco all’agricoltura, al turismo, ai beni culturali e al terzo settore. Questa è la nostra forza, però, bisogna recuperare la cultura del lavoro».

Ci spieghi meglio.

«Metaforicamente svestire la cravatta per indossare gli scarponcini. In questo senso esiste una forte domanda di lavoro che però rimane inascoltata perché, per molte famiglie, è considerata come “umiliante”.
Forse è meno umiliante andare a mendicare il “posto fisso” per il proprio figlio?»

Un esempio può essere l’esperienza dei terreni di proprietà della diocesi che lei ha deciso di donare a una cooperativa di giovani.

«Ciò che occorre è la creatività. Come accaduto a questi ragazzi di Sambatello che stanno diventando un esempio per altri giovani. Noi siamo disposti, per le nostre possibilità, a sostenere queste attività».

Disponibilità che, forse, manca dalle altre forze sociali. Per questo aumenta il sentimento di antipolitica tra i più giovani?

«Quanta più partecipazione c’è, tanto meglio funziona l’ordinamento democratico».

Eppure i giovani reggini non voteranno per il sindaco metropolitano.

«Soffermandoci sul principio generale, è sempre meglio un sistema di elezione diretta.
Qualcuno potrà sostenere che così si limita il “voto di scambio”, ma non possiamo pensare di non combattere il male, che è la ‘ndrangheta, per paura che le cose non possano cambiare».

La ‘ndrangheta, appunto. Come si contrasta?

«La più grande azione “antimafia” è quella di votare responsabilmente. È molto più facile parlare di antimafia che di speranza. Plaudo all’operato della magistratura e delle forze dell’ordine, ma mi sovviene un interrogativo: inchiesta e arresti, ma dopo? Evitiamo l’antimafia di piazza. Ciò che occorre è un’azione amorevole dello Stato nella prevenzione. I piccoli centri, che sono punti di riferimento delle fasce deboli della popolazione, si vedono depauperati dei servizi essenziali nel nome dell’austerità. In scala, lo stesso ragionamento si può fare su Reggio Calabria rispetto all’Italia. Ma così si danno opportunità di ripartenza ai territori svantaggiati?»

Pure vero è che la politica riesce a perdere tante opportunità, soprattutto per i giovani, dall’Europa.

«Bisogna riconoscere le responsabilità. Se le forze politiche sono incapaci di gestire i fondi europei, che puntualmente vengono restituiti al mittente, qualcuno dovrà pur pagare o no?
C’è gente che va allontanata dalla vita amministrativa se durante il loro mandato non riesce a raggiungere degli obiettivi nell’interesse generale. In questo la classe politica deve maturare molto».

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