Avvenire di Calabria

Tra adulti sempre più smarriti, comunità frammentate e intelligenza artificiale, un'autorevole analisi sulle sfide del nostro tempo

Educazione in crisi, il filosofo Giuseppe Savagnone: «Serve un nuovo patto tra famiglia, scuola e Chiesa»

La prospettiva: «Il Giubileo, con il suo richiamo a misericordia e fraternità, può aiutare a riscoprire il valore educativo legato alla Parola»

di Davide Imeneo

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Adulti sempre meno autorevoli, comunità educanti frammentate, sfide legate all'intelligenza artificiale e un’incapacità crescente di offrire ai giovani modelli significativi. Quale direzione sta prendendo il mondo dell’educazione?

Giuseppe Savagnone: «Ritrovare il senso del dialogo tra famiglia, scuola e Chiesa è fondamentale per guidare la crescita dei nostri giovani» 

In questa intervista esclusiva per il nostro settimanale, Avvenire di Calabria, il filosofo Giuseppe Savagnone, autorevole esperto di dinamiche educative, analizza le sfide culturali e sociali contemporanee, proponendo percorsi di rinnovamento per famiglia, scuola e Chiesa. Riflette inoltre sull’impatto dell’intelligenza artificiale e sul messaggio rivoluzionario del Vangelo in vista del Giubileo.

L’educazione oggi sembra attraversare una crisi profonda, tra sfide esterne (dalla cultura digitale alle nuove povertà) e interne (metodi di insegnamento, risorse). Qual è la sua analisi?

Il rapporto educativo si fondava sull’idea che le persone diventano se stesse (“educare” deriva dal latino e-ducere, “condurre fuori”, metafora dell’opera di chi fa nascere un bambino) grazie all’apporto di figure significative e autorevoli ( auctoritas deriva dal latino augere, “far nascere”, da dove anche il sostantivo auctor). Dopo il Sessantotto, le società occidentali vivono la “morte del padre”, incarnazione-tipo dell’autorità in tutte le sue forme (da quella familiare, a quella scolastica, a quella ecclesiale). Nessuno pensa di dover “nascere” da altri, di avere bisogno di un “padre” o di un “maestro”. E i primi a vivere questa crisi della generatività educativa sono proprio gli adulti, gli educatori: genitori che si propongono di essere solo “amici” dei figli; insegnanti che si limitano a fornire “competenze” (quando lo fanno…); sacerdoti che celebrano riti, ma non hanno più tempo per quella che una volta si chiamava “direzione spirituale” e che oggi sarebbe urgentissima se ripensata come “accompagnamento” nel cammino esistenziale.



Sono venute meno, inoltre, le comunità, entro cui l’educazione poteva svolgersi ordinariamente. L’individualismo dominante le ha ridotte a “società per azioni” i cui membri perseguono i loro rispettivi obiettivi, senza che ci sia un fine comune più grande in vista del quale abbia senso sacrificarsi. A cominciare dalla famiglia, che ormai spesso si basa su un legame di coppia condizionato (“stiamo insieme finché stiamo bene insieme”) e che, anche quando ci sono dei figli, si è trasformata in una portaerei su cui e da cui i singoli aerei atterrano e decollano in funzione delle loro rispettive destinazioni.

Secondo lei, come la Chiesa e gli enti formativi cattolici possono rispondere alle sfide educative contemporanee, specialmente in contesti come quello meridionale?

Troppo spesso le nostre comunità abdicano alla responsabilità di educare, lasciandosi vivere in una prassi sacramentale abitudinaria e rinunziando a un confronto che aiuti i fedeli a rimettere in discussione gli schemi culturali oggi dominanti. Qualcuno ha fatto notare che il dramma della nostra pastorale in questo momento non è che poche persone vadano in chiesa, ma che quelle che ci vanno pensano e agiscono esattamente come quelle che non ci vanno. Cosa dovrebbe attrarre i giovani? Fin da piccoli incontrano un catechismo per lo più privo di ogni spessore esistenziale, incapace di aiutarli a leggere in modo diverso le situazioni della loro quotidianità. Un Vangelo che non si presenta come una sfida culturale non si presenta come un’alternativa, non forma un modo di vedere, non incide sulle scelte concrete. E così può tranquillamente coesistere con mentalità distorte, com’è, nel Meridione, quella mafiosa, il cui familismo particolaristico è il contrario della fraternità universale predicata da Gesù e della ricerca del bene comune di cui parla la dottrina sociale della Chiesa. È urgente una conversione pastorale che trasformi il modo di pensare e di vivere dei credenti, consentendo loro così di irradiare, in tutti gli ambienti in cui sono inseriti, la “buona notizia” del Vangelo, evidenziando che essa è tale per chiunque cerchi un senso alla propria vita. In questa pastorale i giovani possono essere coinvolti.

Come si può recuperare il senso della “comunità educante”, in cui famiglia, scuola e Chiesa dialogano e collaborano attivamente?

Bisogna innanzi tutto riaprire il dialogo sul significato dell’educazione. Moltissime famiglie credono di compensare il vuoto educativo con una complicità permissiva e perciò si schierano con i figli contro la scuola; moltissimi insegnanti credono che le famiglie siano solo un impaccio, perché pensano che il loro ruolo sia solo di istruire i giovani e non hanno interesse per i loro problemi umani, che la famiglia potrebbe aiutare a capire; la presenza della Chiesa nella scuola dovrebbe essere garantita dall’insegnamento della religione cattolica, che però, purtroppo, raramente funziona come dovrebbe e ancora più raramente riesce ad essere un tramite tra la scuola e la comunità ecclesiale (per esempio la parrocchia più vicina all’istituto, con cui spesso non si crea nessun coordinamento).


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Se ci si rimette d’accordo sul comune obiettivo educativo, la comunicazione diventa spontanea, perché il soggetto - il giovane - è lo stesso e per aiutarlo a “nascere” bisogna che gli educatori che lo conoscono sotto un aspetto lo vedano anche sotto altri aspetti.

Come la Chiesa dovrebbe prepararsi a un futuro in cui l’IA influenzerà non solo la didattica, ma anche l’evangelizzazione?

L’apporto dell’IA, in campo ecclesiale (come in tutti gli altri), può essere di grande aiuto a livello strumentale. Tutti gli esperti però mettono in guardia dal pericolo di affidarsi ad essa per quanto riguarda i fini. Purtroppo noi viviamo in una società dove tutto viene visto in funzione dell’utile (mezzo), lasciando in secondo piano o dimenticando ciò che è importante (fine) e dove perciò l’intelligenza umana viene usata non per contemplare la realtà, ma per calcolare. E, su questo piano, essa può essere benissimo sostituita, con grande vantaggio, da quella artificiale. La tradizione della Chiesa ha sempre dato importanza alla dimensione contemplativa ed è perciò la più adatta a salvaguardare la differenza tra macchine ed esseri umani. In questo senso essa può costituire un punto di riferimento per tutta la società. Purché si sappia riscoprirla e valorizzarla… 

In che modo il tema del Giubileo – con il suo richiamo alla misericordia, alla conversione e alla fraternità – può orientare le scelte educative delle nostre comunità?

Il Giubileo - la cui origine indica un radicale resettaggio della vita sociale, con la restituzione delle terre e la liberazione degli schiavi - può essere l’occasione per riportare in primo piano la carica rivoluzionaria del Vangelo. A patto che non lo si riduca a un accumulo di indulgenze… Ancora una volta, è urgente anche in questo caso una riflessione che restituisca ai riti e alle tradizioni il loro significato. Anche questo è educare!

Infine, qual è il messaggio di speranza che desidera rivolgere ai giovani che iniziano il loro cammino di studio, lavoro e fede, specie in questi tempi così incerti?

Il mondo è diventato più complesso e problematico, ma anche più vasto e più ricco di opportunità. La crisi è di crescita, anche se questa crescita, come ogni altra, ha bisogno di un discernimento che evidenzi gli aspetti più significativi e fecondi del nuovo. Per questo discernimento è essenziale non lasciarsi travolgere dai ritmi frenetici e dalle mode e imparare a fermarsi, ogni tanto, per pensare e prendere decisioni veramente personali. L’augurio è di non lasciarsi modellare dalla cultura di massa e di riscoprire dentro di sé il proprio ’“io” nascosto, per diventare veramente se stessi.

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